Klaus Schmidt (1953-2014), un ricordo dello scopritore dei più antichi templi dell’umanità

Abbiamo chiesto ad Andrea De Pascale, Conservatore del Museo Archeologico del Finale, di tracciare un breve ricordo dell’archeologo Klaus Schmidt, indimenticabile Ospite della VI Edizione della Festa dell’Inquietudine.

In occasione della VI Edizione della Festa dell’Inquietudine (31 maggio – 2 giugno 2013), la collaborazione instaurata tra il Museo Archeologico del Finale e il Circolo degli Inquieti ha permesso di avere ospite a Finalborgo l’archeologo tedesco Klaus Schmidt che, incantando una folla di oltre 300 persone, ha illustrato le sue sorprendenti scoperte effettuate nel sito del Neolitico preceramico di Göbekli Tepe, nel sud-est della Turchia.
Attraverso la proiezione di suggestive immagini e un brillante colloquio con il collega Roberto Maggi, Schmidt ha illustrato l’eccezionale scoperta di una serie di strutture risalenti a 11mila anni fa, interpretate come le prime strutture templari costruite dall’uomo, caratterizzate da monumentali circoli di pietra con pilastri a forma di T, alti fino a 5 metri, istoriati con impressionanti incisioni raffiguranti animali feroci, pericolosi o in atteggiamento aggressivo, quali felini, scorpioni, ragni e uccelli necrofagi. Un “bestiario” preistorico stupefacente, che quasi certamente cela – e speriamo in futuro sveli – significati totemici connessi all’organizzazione sociale delle comunità che realizzarono questa opera unica. I ritrovamenti effettuati a Göbekli Tepe (in turco la “collina panciuta”), seppure ancora in un processo di piena comprensione e interpretazione, ci hanno già restituito una certezza: le popolazioni seminomadi di cacciatori-raccoglitori che vivevano nel vertice della zona nota come Mezzaluna Fertile, al termine del Paleolitico, avevano un’organizzazione e conoscenze assai maggiori di quanto finora pensato.
Göbekli Tepe, inoltre, dimostrerebbe come i processi di sedentarizzazione, con l’invenzione di agricoltura e allevamento caratteristici del successivo periodo Neolitico, non sarebbero alla base di tale complessità sociale, ma una loro conseguenza. Complessità dettata forse dalla “religione” se le strutture ritrovate sono, come in tutto e per tutto appaiono, i più antichi templi realizzati dall’uomo che, cronologicamente (decine le datazioni al radiocarbonio a confermarlo), si collocano proprio tra la fine del Paleolitico e l’inizio del Neolitico, nel momento di passaggio, di “esplosione” di quella “rivoluzione” culturale e sociale che ha segnato l’abbandono della vita nomade dei cacciatoriraccoglitori in favore di quella sedentaria degli allevatori-agricoltori. Göbekli Tepe fu la “fine” di un “mondo” e l’“inizio” di un altro.
Ai tanti fondamentali interrogativi che un sito di questo genere pone, Schmidt stava rispondendo con entusiasmo, acume e piena dedizione, fino allo scorso 20 luglio quando, improvvisamente, per un attacco cardiaco, è mancato nella sua Germania.
Nato a Feuchtwangen nel 1953, aveva studiato archeologia preistorica presso le Università di Erlangen-Norimberga e di Heidelberg, interessandosi durante la sua formazione anche di geologia, paleontologia e archeologia classica. Divenuto libero docente di archeologia preistorica, lavorava come referente per la preistoria del Vicino Oriente nella sezione orientale del Deutsches Archäologisches Institut di Berlino, per il quale aveva seguito importanti ricerche nel sito del Calcolitico e dell’Età del Bronzo Antico di Aqaba in Giordania. Dal 2007 era stato nominato professore straordinario presso l’Università di Erlangen-Norimberga. Le sue ricerche a Göbekli Tepe iniziarono nel 1994-1995, investendo forza e anima in quella che aveva compreso essere non solo la più grande ed importante scoperta della sua vita, ma anche un qualcosa di sostanziale per l’intero mondo dell’archeologia e la collettività. Tanto fondamentale da averlo spinto, diversi anni fa, a comprare una casa tradizionale ottomana con un bel cortile a Urfa, una città di quasi ottocentomila persone, a pochi chilometri da Göbekli Tepe, che non solo per diversi mesi all’anno diventava la sua dimora, ma dove, insieme alla moglie e collega archeologa Çiğdem Köksal, accoglieva amici e colleghi in visita. Abitazione usata anche come base per le operazioni di ricerca del suo team che solitamente operava sul cantiere di scavo, per due mesi in primavera e altri due in autunno, tra le colline fuori dalla città. Schmidt era, infatti, giunto a supervisionare una squadra di più di una dozzina di archeologi e di oltre cinquanta operai locali che seguiva con partecipazione. Energie che stava investendo negli ultimi tempi non solo in nuove indagini di scavo, ma nel processo di valorizzazione e protezione di Göbekli Tepe, attraverso imponenti opere di tutela e musealizzazione in accordo con le autorità locali. Contemporaneamente con il proseguo delle ricerche e la sua instancabile attività di divulgazione scientifica in tutto il mondo, attraverso conferenze e pubblicazioni (il suo scritto più noto, concernente gli scavi di Göbekli Tepe, è stato tradotto in italiano col titolo “Costruirono i primi templi”, Edizioni Oltre, 2011), gestiva sullo scavo un flusso costante di studenti ed un continuo numero, in incessante aumento, di turisti e curiosi che da ogni parte del mondo giungevano in questo angolo della Turchia per vedere le strutture di Göbekli Tepe, spesso speranzosi di potervi anche incontrare il suo scopritore. Chi ha avuto modo di conoscere Klaus Schmidt sa quanto fosse sempre disponibile e non si sottraesse alle domande del pubblico. Così fece durante l’incontro a Finalborgo in occasione della Festa dell’Inquietudine, così ho avuto modo di vederlo l’ultima volta, nell’aprile 2014, a Göbekli Tepe dove diverse persone lo incalzavano di quesiti mentre mi accompagnava per lo scavo. A tutti rispondeva con puntualità, trasmettendo con infinita semplicità il suo sapere, animato da una forte passione. Ci siamo salutati sorseggiando un tazza di buon çay turco, dandoci appuntamento a settembre nuovamente sugli scavi. Purtroppo la prossima volta che mi recherò alla “collina panciuta” Klaus non ci sarà, ma sono certo che la sua opera, i suoi insegnamenti, l’entusiasmo e la dedizione che ha dedicato a questo fondamentale luogo non andranno perduti, ed in un qualche modo il suo lavoro proseguirà riservando a lui la memoria e il riconoscimento che spettano ad un archeologo e a un uomo che con il suo impegno ha portato – e continuerà a spingere – la comunità scientifica a compiere fondamentali riflessioni sul nostro passato, aprendo nuovi sentieri della conoscenza per l’umanità.

di Andrea De Pascale

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