ANDARE SEMPRE OLTRE, IL LIMITE DEI MATEMATICI

La matematica introduce dubbi e coltiva la convinzione che non esista alcun Limite alla capacità di affinare la nostra interpretazione della realtà, che sia possibile ed anzi necessario andare sempre “oltre” quella che ne sembra inizialmente una rappresentazione soddisfacente

Manfredo Montagnana

Se posso concedermi un excursus al di fuori del tema assegnatomi, vorrei riflettere su due fattori che rendono innata in me l'idea di “ Limite ”.

Il primo è del tutto naturale anche se generalmente viene vissuto come un evento tragico: si tratta della “ limitatezza ” della vita umana. In qualche modo, attraverso la storia scritta e quella ricostruita sulle tracce rimaste attraverso i millenni, sono in grado di immaginare il “prima” della mia nascita; ma, purtroppo, un “Limite invalicabile” mi separa dal “dopo” la mia morte. Fin dalla nascita, anche se spesso inconsciamente, sento la concretezza del significato della parola Limite .

Il secondo fattore nasce dalla mia impossibilità a concepire come una operazione razionale il porre un Limite alle dimensioni spaziali della realtà in cui vivo nonché alla sua estensione temporale. Se è vero che l'universo è in continua espansione ma conserva un confine finito, mi rifiuto di credere che non vi sia nulla oltre tale confine. Allo stesso modo, pensare che nulla vi fosse prima del “big bang” è fuori dalla capacità della mia mente, come pure ne è esclusa l'idea che vi sia un termine temporale privo di un seguito.

Limite in Matematica

Venendo alla matematica, i primi passi verso il concetto di Limite sono storicamente collegati alla definizione dell'insieme dei numeri reali: interi, frazionali, irrazionali, . . .

I problemi sorti nello studio di questo insieme richiede qualche commento. Da un lato, siamo ormai abituati all'idea che i numeri siano infiniti, essendo l'infinito il Limite appunto verso cui vanno addensandosi i numeri reali. Dall'altro lato, constatiamo la presenza di più possibili infiniti: quello dello spazio dei numeri naturali 0, 1, 2, 3, . . . (spazio in cui rientrano, contrariamente all'apparenza, anche tutti i frazionari); quello dei numeri reali; quello dei numeri complessi. Dall'altro lato ancora, comprendiamo che il concetto di Limite non è connesso solo con l'ente “infinito”, così difficile da immaginare, ma pone in luce il fatto che il ben noto numero 0 è altrettanto difficile da concepire ed è, in un certo senso complementare all'infinito.

Il Limite di una funzione di una variabile reale da oltre un secolo ha rappresentato per intere generazioni di studenti il primo passo nello studio dell'analisi. Più recentemente è diventato soprattutto la base per la costruzione degli spazi cosiddetti astratti: metrici, normati, topologici, . . .In ognuno di questi contesti la definizione di Limite si fonda essenzialmente sul concetto apparentemente banale di “intorno” dell'oggetto x che ci interessa (numero reale o elemento di uno spazio astratto): in linguaggio comune, ogni intorno di x è un insieme di oggetti (dello spazio cui x appartiene) che hanno da x una determinata distanza (si noti che il significato della parola “distanza” non può essere dato per scontato ma va definito opportunamente).

La contraddizione della Derivata

L'uso del Limite nella trattazione del calcolo infinitesimale da parte di Cauchy e della sua scuola nella seconda metà del secolo XIX aveva una sua motivazione molto tecnica: la definizione di “derivata” data da Newton e Leibniz nel secolo precedente aveva suscitato non poche perplessità fin dalla sua introduzione. Esisteva infatti in questa definizione una contraddizione evidente: se consideriamo il rapporto (velocità media) tra l'incremento ?s della grandezza s (strada percorsa) ed il corrispondente incremento ?t della variabile t (tempo impiegato) da cui s dipende, esso ha senso solo finchè il denominatore ?t è diverso da zero (è proibito dividere un numero per 0!). D'altra parte, semplici operazioni algebriche consentono di semplificare questo rapporto e ottenere una espressione in cui si può tranquillamente porre ?t = 0: si tratta proprio di ciò che Newton chiamava la “derivata” della variabile s (velocità istantanea). Insomma, egli accettava a posteriori un passaggio che a priori era stato dichiarato impossibile.

Cauchy superò questa contraddizione introducendo il concetto di Limite , nel quale il valore ?t = 0 viene escluso; ciò permette di procedere con le operazioni algebriche, sotto la copertura di una definizione formalmente rigorosa. Tuttavia, fin dal secolo XIX alcuni studiosi proposero di evitare l'anomalia considerando la derivata in un modo forse più moderno: è l'operazione che ad ogni funzione f ne associa una nuova f' individuata tramite due strumenti: una tabella delle cosiddette derivate elementari ed un gruppo di regole di calcolo. Tra coloro che andavano controcorrente uno dei primi fu Karl Marx, trascinato dalle sue riflessioni sulla dialettica.

La matematica non ha l'obbiettivo della “certezza”

Desidero sviluppare una ultima considerazione rivolta a quello che considero il ruolo più impegnativo della matematica. Contrariamente a quanto pensa la maggioranza delle donne e degli uomini, la matematica non ha l'obbiettivo della “certezza” ma vuole invece introdurre dubbi sempre più sottili su ogni elemento di un processo razionale. Per esempio, il termine “distanza tra due punti”, introdotto prima, viene abitualmente inteso come la lunghezza del segmento che unisce tali punti; il matematico pone le domande: come facciamo se i due punti appartengono a due edifici separati da altri edifici? … e se i due punti sono a quote diverse su una montagna?

A me pare che questo modo di ragionare dei matematici (ma che è proprio di tutti gli scienziati) nell'affrontare ogni questione evidenzi la loro convinzione che non esista alcun Limite alla capacità di affinare la nostra interpretazione della realtà, che sia possibile ed anzi necessario andare sempre “oltre” quella che ne sembra inizialmente una rappresentazione soddisfacente.

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