L’educ@zione digitale e il coraggio di superare i limiti

Ilaria Caprioglio
L’educazione digitale permette di superare molte barriere, tuttavia richiede il coraggio, da parte degli immigranti digitali, di vincere la diffidenza che nutrono nei confronti delle tecnologie, comprendendole e applicandole correttamente nella scuola del ventunesimo secolo per non limitare il futuro dei digital kids.
Assicurarsi che ogni ragazzo abbia “l’accesso a un computer, in ambito scolastico, significa avere la volontà di eliminare le barriere socio-culturali che l’introduzione delle nuove tecnologie digitali hanno creato” (da “Come sarà la scuola del prossimo millennio” intervista a S. Papert, New York 04.04.98), ma significa anche permettere ai giovani ospedalizzati di seguire le lezioni regolarmente, superando gli ostacoli che la malattia comporta (da Progetto Home-School-Hospital, www.istruzioneer.it) o, ancora, offrire ai bambini che vivono in Paesi non industrializzati (da Progetto umanitario “One Laptop per Child” OLPC, promosso da Nicolas Negroponte nel 2007, www.Hewlett.org), isolati e ad alto tasso di povertà, la speranza di bypassare i limiti che il luogo dove sono nati ha loro imposto.

Seymour Papert e la scuola del ventunesimo secolo.

Per cogliere, tuttavia, le potenzialità dell’educazione digitale sarebbe necessario che noi, immigranti digitali (Immigranti digitali si definiscono coloro che sono nati e cresciuti in un  contesto analogico, a differenza dei nativi digitali che sono nati e stanno crescendo in un mondo digitalizzato (da “Digital kids in form@zione”, La Civetta Anno XIV n.6), comprendessimo i grandi cambiamenti che stanno avvenendo nell’educazione dei nostri figli, nativi digitali. La scuola continua, invece, a fondarsi sul modello di una linea di produzione in cui si mettono delle conoscenze nella testa delle persone un poco per volta, mentre i giovani non avrebbero più bisogno di tali modalità per acquisire nozioni in quanto, con la moderna tecnologia dell’informazione, potrebbero imparare facendo ricerca e scoprendo da soli. Il ruolo dell’insegnante, dunque, non sarebbe più quello di fornire tutte le parti della conoscenza, ma di fare da guida, di gestire le situazioni molto difficili, di stimolare e consigliare i ragazzi. E’ necessario superare l’idea-limite che l’organizzazione della scuola del ventesimo secolo possa essere ancora valida per quella del ventunesimo. “Prima ci accorgiamo che in futuro la scuola sarà completamente diversa meglio sarà, e prima abbiamo il coraggio di fare grandi passi meglio sarà” sosteneva già una decina di anni fa Seymour Papert (S. Papert, Pretoria, 1° marzo 1928, matematico) augurandosi che l’umanità avesse la libertà e la fiducia di esplorare in direzioni nuove. Iniziando a ripensare alla scuola, al modo di trasmissione della conoscenza che non dovrebbe più consistere nell’insegnare ai bambini a ricevere dal maestro, bensì nell’insegnare ai bambini a diventare scolari indipendenti, responsabili del proprio apprendimento. E in quest’ottica di rielaborazione si dovrebbe arrivare a un utilizzo corretto dei computer. Alla domanda cosa potrebbe offrire un computer a un bambino di diverso da un libro, Papert (da “Bambini e adulti a scuola con i computer” intervista a S. Papert, Venezia 07.03.97) rispondeva con un’analogia: “Se si vuole imparare la musica, è bene suonare uno strumento. Cosa può dare un pianoforte a qualcuno, che non gli può dare un libro? E’ la stessa risposta. Il pianoforte consente di fare qualcosa con la musica, di renderla propria, di esprimere se stessi. Nel libro si può leggere sulla musica, ma non è la stessa cosa. Con la conoscenza matematica, il computer è come il pianoforte. Consente di suonare la conoscenza; il libro ce la può solo dare.”

Il programma per pc LOGO: affidare il computer ai bambini e non viceversa.

Per questo era nato LOGO, un programma per pc dedicato ai bambini delle scuole elementari, scaturito dall’idea di affidare il computer ai bambini e non viceversa, come accade quando è il computer a suggerire al bambino cosa fare. Il modo corretto di procedere consiste, invece, nel mettere il bambino nella condizione di controllare lo strumento tecnologico per fare qualsiasi cosa desideri: dalla musica all’arte, dai giochi alle ricerche storiche trasformandolo da consumatore passivo a produttore altamente motivato ad apprendere sempre più per migliorarsi. Inoltre affiancare i digital kids davanti allo schermo di un computer offrirebbe, sicuramente, ai genitori l’opportunità di sviluppare progetti collaborativi, apprendendo insieme e condividendo qualcosa in cui i bambini sono più portati rispetto agli adulti.

Il limite da superare per avvicinare gli immigranti ai nativi digitali.

La tecnologia ha scavato un solco fra due generazioni ma, al contempo, offre agli adulti, siano essi genitori o insegnanti, la possibilità di superare la barriera-limite che li divide dai propri figli o alunni, migliorando le loro relazioni, avvicinandoli e accomunandoli. Ma per oltrepassare quello che oggi può essere visto come un ostacolo generazionale, gli immigranti digitali devono imparare non solo a usare il computer ma anche ad avere una mente più aperta su ciò che i bambini debbano e non debbano apprendere e di come tale apprendimento debba avvenire. Gli adulti dovrebbero superare l’idea che il computer funzioni solo come una macchina dove reperire facilmente informazioni: un’idea pericolosa che induce a un approccio superficiale e omologato della conoscenza, dando vita a quella nuova forma di “cultura del copia-incolla” ormai dilagante. La tecnologia digitale è, soprattutto, un formidabile strumento per realizzare progetti, più efficaci, più complessi di quanto fosse possibile prima: questo i nativi digitali lo hanno già capito, adesso spetta a noi superare il nostro limite per non ostacolarli, compromettendo il loro futuro.
Menu