Bisanzio: l’Araba Fenice d’Europa. Intervista a Silvia Ronchey

Abbiamo intervistato Silvia Ronchey, storica, docente di Civiltà bizantina all’Università di Siena, scrittrice di successo (ricordiamo tra gli altri volumi Storia di Barlaam e Ioasaf. La vita bizantina del Buddha, Einaudi 2012; Il romanzo di Costantinopoli, Einaudi 2010; Ipazia, Rizzoli, 2010; Il guscio della tartaruga, Nottetempo 2009; L’enigma di Piero, Rizzoli, 2006 Lo Stato bizantino Einaudi 2002, oltre alle numerose traduzioni ed edizioni critiche e scientifiche di testi bizantini e classici) e massima esperta italiana ed europea di storia del mondo e della civiltà bizantina. La Ronchey fa emergere con appassionato rigore un interessante ed inedito profilo della civiltà bizantina che in maniera carsica ha saputo sopravvivere alla caduta di Costantinopoli venendo in gran parte assimilata dai conquistatori ottomani e addirittura anche dalla Russia zarista e poi sovietica dove fiorirono gli studi universitari e scientifici su Bisanzio e Costantinopoli. La Professoressa Silvia Ronchey sarà nostra ospite alla Festa dell’Inquietudine che si terrà dal 31 maggio al 2 giugno.

A cura di Alessandro Bartoli

Cosa ha rappresentato  Bisanzio-Costantinopoli nella cultura occidentale?

La cultura occidentale sembra aver rimosso una parte fondamentale della sua storia, quella del mondo bizantino,neglettoe ignoratoin Italia non solo per ragioni ideologico-ecclesiastiche, come portato della millenaria irriconciliabilità tra il papato e l’impero fondato da Costantino,che pur accogliendo il cristianesimo quale religione di stato per undici secoli estromesse il clero dal potere secolare, ma anche per idiosincrasieinterne all’ideologia laica, come nei decenni di formazione delle discipline universitarie, in cui l’alterità storica determinata dal lungo influsso bizantino sull’Italia meridionale imbarazzava gli intellettuali liberali teorici dell’unità d’Italia, o come durante il fascismo,in cui si esaltava solo la romanità del mondo antico e lo studio di Bisanzio veniva scoraggiato anche da studiosi illustri come Giorgio Pasquali. E tutto questononostante Bisanzio abbia avuto un ruolo fondamentale nella genesi dell’Europa e sia un elemento imprescindibile per comprendere le nostre origini e la nostra storia. L’Impero romano non è morto con la deposizione di Romolo Augustolo ma ha continuato a prosperare per altri mille anni in tutto il Mediterraneo orientale e oltre, nel cosiddetto MediterraneoMaggiore: quella “zona spaziodinamica, che rievoca un campo di forze magnetico o elettrico”, secondo Fernand Braudelestesa fino al Mar Rosso, al Golfo Persico, all’Oceano Indiano, in cui si è irradiata la civiltà mediterranea.Il solido aureo di Giustiniano e dei suoi successori fu, secondo la definizione di Peter Brown, “il dollaro del Medioevo”, e le grandi sistemazioni codicistiche del Corpus IurisCivilise delle Novellae prodotte lungo i secoli a Bisanziosono alla base di tutto il diritto occidentale.

Dopo la caduta di Costantinopoli cosa è sopravvissuto della civiltà bizantina?

Si potrebbe sostenere che, in un certo senso, l’Impero romano d’oriente termini solo con la dissoluzionedel suo diretto successore, l’Impero ottomano o, per paradosso, addirittura con la fine dell’impero sovietico, nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, o più precisamente nel 1991, con lo scioglimento dell’Urss. Non a caso nel mondo sovietico sono nati e hanno prosperato i più grandi  studiosi della civiltà bizantina del Novecento, come Alexander Kazhdan, che studiavano con attenzione, fra le altre cose, il cosiddetto dinamismo verticale delle élites bizantine:il meccanismo di cooptazione,geograficamente e socialmente trasversale,attraverso cui lo strato alto della società veniva mantenuto in perenne movimento. Le élites dei funzionari pubblici oltre che degli intellettuali venivano promosse, plasmate e educate nelle grandi scuole di Costantinopolie, passando per questaformazione universitaria pubblica impartita al centro dell’impero, continuamente rinnovate. Uomini (e donne) di stato provenienti da ogni regionedel vasto impero orientale, dai Balcani al Caucaso, dalle coste del Mar Nero alle steppe slave, dopo essersi formatia Costantinopoli,amalgamavano così alle loro culture d’origine l’antico e sempre rinnovato sapere bizantino. La formazione delle classi dirigenti non era legata al sangue, come in occidente, ma al crearsi e ricrearsi di una aristocrazia in continua mobilità, colta, plurilingue e multietnica. Furono paradossalmente quegli stessi ‘barbari’ che in occidente determinarono il collasso della prima Roma a fare la forza della seconda Roma, che seppe cooptarli e assimilarli all’interno delle proprie strutture culturali, sociali e amministrative e dare loro accesso alle leve stesse del potere.

 E gli ottomani cosa salvarono di Costantinopoli?

L’Impero ottomano di Maometto II seppe a sua volta conservare e assimilare unaparte delle tradizioni culturali, sociali e politichebizantine, integrando l’aristocrazia greca antilatina di Costantinopoli e le comunità greche delle province circostanti. Certo, i massacri e i regolamenti di conti che si ebbero all’atto della conquista impressionarono il mondo. Ma dobbiamo constatare che le élites bizantine turcofile furono fin da principio integrate nell’apparato amministrativo e burocratico ottomano, compresi i ranghi militari e, all’altro estremo, quelli dell’intelligencija. La capitale del sultano islamico mantenne una sorprendente quantità di altari cristiani consacrati e di strutture architettoniche ecclesiastiche che solo con lo scorrere dei secoli si trasformaronoin moschee. La comunità cristiana serbò, oltre al proprio culto e ai propri luoghi di culto, la propria gerarchia ecclesiastica e il proprio patriarca.Al contrario di quanto fecero due secoli prima i crociati quando insediarono gerarchie ecclesiastiche latine a Costantinopoli dopo la cosiddetta deviazione della quarta crociata e il rovinoso scempio della Città seguito alla conquista del 1204. Per non parlare della comunità internazionale degli ebrei, chesi diedeletteralmente convegno nella nuova capitale dei sultani, dove prosperò per secoli.

Ma torniamo un attimo alla Russia, quale è stato il trait d’union tra il mondo slavo e Bisanzio?

Con il matrimonio tra l’ultima principessa imperiale bizantina, Zoe-Sofia Paleologina, con il Gran Principe di Mosca Ivan III,l’impero dei nuovi cesari, gli zar (csar), si considerò erede legittimo e continuatore dell’Impero romano. Mosca, che già accoglieva il simbolo dell’aquila bicipite, divenne la terza Roma, erede della sovranità dell’ultima dinastiae soprattutto dell’ortodossia bizantine.Fu così che sia il sultano, che si era annesso Costantinopoli e il controllo degli Strettie il cui imperoera perciò subentrato nel ruolo geopolitico di Bisanzio, sia lo zar,che si era annesso il genoma imperiale bizantino in senso stretto ed era subentrato nel ruolo di ‘unto del Signore’ e rappresentante mondiale dell’ortodossia, si definivano ufficialmenteimperatori dei romani.

Si può percepire ancora oggi l’eco della caduta di Costantinopoli e della scomparsa del mondo bizantino?

Certo, se sianalizzano le vicende di cui soprain chiave braudeliana,guardando all’‘onda lunga” della storia, si percepisconole conseguenze dellacaduta dello stato bizantino anche a distanza di secoli.Non è un caso che il Mediterraneo Maggiore di Braudel coincida con le zone di crisi del secolo da poco iniziato. Il fantasma di Bisanzio aleggia sulle aree incandescenti del nostro mondo attuale, sulle sue soglie di conflitto, sulle sue faglie d’attrito, dai Balcani al Caucaso, dall’Anatolia alla Mesopotamia.Le stesse aree in cui l’eredità imperiale romano-bizantina aveva nel bene e nel male per quasi due millenni governato la convivenza etnica, e sul cui scenario di sommovimento e scontro si è apertoil XXI secolo, dopo che i due imperi in cui Bisanzio si era divisa alla metà del XV, quello ottomano a sud-est e quello russo poi sovietico a nord-est, si sono disgregati rispettivamente all’inizio e alla fine del Novecento. Considerando la storia in questa prospettiva, comprendiamo meglio le origini dei terribili conflitti che hanno attraversato e attraversano i paesi di quelle aree: da ultimo, adesso, la Siria.

Cosa pensa della Turchia contemporanea?

All’origine dell’opinione, manifestata nell’ultimo decennio da più parti e anche da storici autorevoli, come Jacques Le Goff, che la Turchia non faccia storicamente parte dell’Europa e che perciò non dovesse entrare a far parte dell’Unione Europea, vi è un grave equivoco: una cecità che nasce, appunto, dalla scarsa conoscenza della millenaria storia di Bisanzio. Costantinopoli/Istanbul, con le sue tradizioni, il suo cosmopolitismo, il suo millenario ruolo di ponte tra Oriente e Occidente, è parte dell’Europa non solo geograficamente: è parte integrante imprescindibile dell’ identikit culturale europeo.

Quale è stata la principale virtù della Civiltà bizantina?

Ne ho già elencate diverse. Aggiungo che, a proposito di ponti, la civiltà bizantina è stata anche la traghettatricedella cultura classica nel mondo moderno. Senza l’incessante attività di copia e diffusione dei classici greci a Bisanzio, senza la devozione, la cura e lo studio che per più di un millennio furono loro riservatinelle istituzioni tanto laiche quanto ecclesiastiche diCostantinopoli come della provincia grande-bizantina, solo una minima parte del sapere classico si sarebbe salvata. L’amore e lo studio della civiltà bizantina è inseparabile da quello dei classici, e chiunque ami i classicinon può non amare i bizantini e sentirsi loro simile.Lo sapevano bene gli umanisti occidentali. Bisanzio è una civiltà eminentemente umanistica e la diffusione in Occidente dei classici grecie della tradizione non solo testuale e filologica ma anche letteraria e filosofica antica ebbe luogo con l’arrivo dei grandi intellettuali bizantini emigrati in Italia tra la fine del XIV e la fine del XV secolo. Il cosiddetto Rinascimento europeo non è che l’ultima, e più dirompente, delle rinascenze bizantine.

 

Alessandro Bartoli (Savona, 1978) avvocato e saggista. Nel 2005 ha curato l’edizione anastatica di “Alcune Ricette di cucina per l’uso degli inglesi in Italia” con Giovanni Rebora (Elio Ferraris Editore), nel 2008 “Le Colonie Britanniche in Riviera tra Ottocento e Novecento” (Elio Ferraris Editore – Fondazione Carisa De Mari). Con Domenico Astengo e Giulio Fiaschini ha curato “Dalla Feluca al Rex. Vagabondi, Viaggiatori e Grand Tourists lungo il Mar Ligure” (Città di Alassio, 2011 – Premio Anthia 2011). Ha inoltre curato il volume “Un sogno inglese in Riviera. Le Stagioni di Villa della Pergola” (Mondadori, 2012).

 

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