Uno che va in giro tutto profumato, con i tacchetti e il cerone … – Intervista senza censure ad Antonio Ricci (I)

Alessandro Bartoli

Antonio Ricci 59 anni, sposato, 3 figlie, autore e produttore televisivo. Inquieto dell’Anno 2001. Un ligure a Milano, trent’anni sono bastati per abituarsi alla capitale lombarda e alla sua mentalità?
 
«Sono passati più di trent’anni ma sono sempre un pendolare che non ci ha messo né casa, né radici. A Milano vivo in un non luogo, sempre con la valigia vicino al letto. Per me Milano è come Vado Ligure»
Tu hai creato e diffuso via etere decine di tormentoni nazional-mediatici ma quello delle veline ti è stato rubato, manipolato e trasformato da mesi, e il diritto d’autore (a cui tu non credevi)?
 
«Godo di essere finito sui dizionari. In realtà “Veline” solo in questo rush finale sta battendo il “te lo do io” che continua dal ’79 ancora adesso ad essere usato soprattutto  per farci titoli di giornali. Quel “te lo do io” lì nasce da un mio professore di ginnastica, di cui poi divenni collega, famoso per il suo stile leggermente militaresco. Durante una mega riunione per la scelta dei libri di testo, il professor Divizia contestava la scelta di alcuni libri di testo, soprattutto di storia, la qual cosa faceva protrarre la discussione all’infinito: ad un certo punto l’insegnante di ginnastica – che probabilmente non vedeva l’ora di andare a giocare a tennis – sbottò con “te la do io la democrazia Divizia te la do io!!” e così,  qualche anno, quando dovevo fare una trasmissione che si doveva intitolare “Papà ma l’America è lontana?” io la trasformai in “Te la do io l’America!”. Per le veline posso citare una mia recente dichiarazione all’Ansa: “ le veline attengono al Mito. Se le avessi inventate sarei Dio. Da Pontefice, quale sono e fui, le ho provocatoriamente nomate ed evidenziate. Nessuno si sogna di accusare Molière di aver inventato l’avarizia.” Qualche anno fa una sigla del Gabibbo diceva “tutti in tivù per piacersi di più, non c’è pietà faine del nuovo varietà, l’è o can du leccia”
 
Parte della critica accusa Berlusconi –  tra le altre cose – di aver creato una televisione volgare, troppo incline ad assecondare i peggiori istinti del pubblico, è un demiurgo così malvagio?
 
«Della volgarità in TV si parlava già ai tempi di Bernabei. Accusare Berlusconi di essere l’arcimacario il superbombolo il mini Plauto serve solo a mitizzarne la figura. Gramsci sosteneva che il processo di demonizzazione è sempre sbagliato perché porta la lotta su un piano religioso, e quando poi capita di perdere per mano di un demone la sconfitta è ancora più grande. Bastava leggere Gramsci…cosa vuoi una volta Gramsci era direttore dell’Unità, adesso abbiamo avuto come direttori dell’Unità anche ex dipendenti di casa Agnelli…per il forbito Furio Colombo ho coniato anni fa “estremismo: malattia senile del velinismo”»
 
Che tipo di editore è (o era) Silvio Berlusconi?
 
«Ho sempre fatto e prodotto da me i programmi. Tra l’altro non sono mai neppure andato alle riunioni di Arcore perché Carlo Freccero mi raccontava che erano sempre tutti nudi e a me non andava proprio…risulta evidente anche dagli ultimi fatti che le donnine siano solo una misera copertura per un giro diciamo particolare. D’altra parte uno che va in giro tutto profumato, con i tacchetti e il cerone…”
 
In Italia i telegiornali sono tutti legati più o meno apertamente ad un referente politico-editoriale, è molto difficile fare televisione e rimanere indipendenti?
 
«La televisione fin da quando era in bianco e nero è sempre stata vista come megafono e terra di conquista da parte della politica. Dire poi che taroccare le notizie abbia portato dei vantaggi alla politica e ai politici non è proprio vero anzi, spesso è vero il contrario. L’equazione posseggo un telegiornale e tu mi voti non è così immediata perché la gente, per fortuna, passa la maggior parte delle ore della sua giornata non guardando la televisione ma vivendo la propria vita, andando a lavorare, andando all’ospedale, cercando un posteggio. La vita delle persone esula da quello che i direttori dei tg ci raccontano. La cosa più ridicola è la difesa ad oltranza della casta. Taroccare le immagini, nascondere i fischi ai politici, le platee semivuote, mettere un finto applauso sono atti di puro servilismo: tutte cose documentate da Striscia e che purtroppo si vedono in tutti i telegiornali. Scene lubriche di giornalisti-escort sempre però con la voglia di fare la morale agli altri. »
 
Beppe Grillo, un amico con il quale hai anche lavorato per anni in Rai, è scomparso dalla televisione tutta. Sul caso Parmalat era stato anche un po’ “profetico” ma nessuno gli ha voluto dare retta: la televisione talvolta non dovrebbe avere anche un ruolo di denuncia e smascheramento?
 
«Nel  caso Parmalat noi veramente gli abbiamo dato voce e addirittura Beppe non voleva. Ho insistito e Beppe ha voluto mettere i bip sui nomi. Il casino è venuto su lo stesso. »

E sulla sua candidatura alla segreteria del PD?

«Ho trovato geniale la sua risposta “Non mi vogliono nel PD? Allora mi iscrivo alla P2!” Un comico che fa satira deve necessariamente provocare e lui in questo è bravissimo.»

Quali sono i veri poteri forti su cui non si può mai parlare male in televisione?

«Se sei in diretta, come noi, puoi dribblare le censure, i problemi arrivano dopo. Sui giornali la censura è molto più facile, ci sono troppi filtri tra la stesura di un articolo e la sua pubblicazione. Io ad esempio con i giornali ho avuto censure di ogni tipo. Collaboravo ad un inserto di Repubblica, Satyricon, e feci una battuta su Berlusconi.  Eravamo a metà anni ’80. Alla domenica mattina mi accorsi che il mio articolo non era uscito. Dalla redazione mi fecero sapere che siccome Repubblica in quel momento aveva buoni rapporti con Berlusconi non volevano provocarlo. Capii com’era l’andazzo. Un’altra volta su La Stampa rilasciavo un’intervista con Curzio Maltese che mi disse che in tipografia a Torino c’era una macchina speciale che brasava qualsiasi accenno su Casa Agnelli. Da allora in ogni intervista con La Stampa, per un certo periodo, facevo allusioni agli Agnelli. Puntualmente non venivano pubblicate: il macchinario funzionava benissimo! Più recentemente fui intervistato da un bravissimo giornalista di Repubblica, Dipollina. Gli dissi che i giornali in Italia sono controllati dalle banche. La premessa era questa: quando a Striscia si iniziò a parlare della Banca Popolare di Lodi e degli illeciti prelevamenti e addebitamenti che la Banca aveva fatto a danno dei suoi correntisti, solo una giornale in Italia, il giorno seguente, riportò la notizia: era il Tirreno di Livorno. Pertanto presi questo esempio per dire che, evidentemente, in Italia i giornali sono in mano alle banche. Di Polline mi disse che non lo poteva scrivere, io ribattei che però era vero e lui disse: proprio per questo! Alla fine dopo un paio di telefonate Dipollina venne rassicurato dalla redazione romana di Repubblica che la mia frase non sarebbe stata censurata. Sta di fatto che il giorno dopo quella frase non uscì su la Repubblica. Dipollina mi disse che avevano fregato anche lui. Sono convinto dicesse proprio la verità.»

Cosa ne pensi di un programma di inchiesta e denuncia come Report di Milena Gabanelli?

«E’ un programma intelligente, fatto da un gruppo di persone serie e in gamba. Magari ce ne fossero tanti altri così, mi piacerebbe guardare solo programmi come quello! Per anni le inchieste le ha fatte solo il Gabibbo – non lo dico io ma un langarolo che ha studiato a Savona, Aldo Grasso – quindi viva Milena Gabibbelli!»

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