Ernesto Ferrero, la cultura è in marcia

Abbiamo intervistato Ernesto Ferrero, raffinato intellettuale, scrittore ed editore, già collaboratore di Giulio Einaudi, attualmente presidente del Salone internazionale del libro di Torino, probabilmente la più importante manifestazione culturale a cadenza annuale in Italia. Lo abbiamo interrogato, tra l’altro, sul futuro della cultura e dei libri nell’Italia Ernesto Ferrero – una biografia in sintesi contemporanea.

Quanto è difficile continuare ad organizzare il Salone Internazionale del Libro di Torino in unmomento di crisi economica come l’attuale?
Il Salone è organizzato da una Fondazione pubblica, a sua volta sorretta dal Comune e dalla Provincia di Torino, e dalla Regione Piemonte, con il fondamentale appoggio esterno della Compagnia di San Paolo e della Fondazione CRT. Ogni anno i contributi decrescono, anche se è dimostrato che ogni euro investito ne produce almeno cinque. Non è vero, come sosteneva un improvvido ministro dell’Economia, che la cultura non dà da mangiare. La cultura, se gestita correttamente, produce sviluppo. Come se non bastasse, siamo penalizzati da un contratto molto sfavorevole con la proprietà del Lingotto. Con tutto questo, i buoni risultati, e specialmente quello di quest’anno, particolarmente significativo in un momento così difficile, stimolano la nostra inventiva, e ci danno una maggiore forza contrattuale. Per fortuna possiamo contare sulla collaborazione degli editori e degli autori, che sentono il Salone come una cosa loro, e di tanti amici generosi e sensibili, come ad esempio Antonio Ricci, che ogni anno ci dedica uno mega-spot, perchè è un lettore forte e queste cose le capisce. Nessuno dei nostri ospiti percepisce un gettone. Sono ancora in molti a credere nel libro e nei valori di cui è portatore.

Secondo Lei è corretto l’assioma lanciato sulle pagine culturali del Sole 24 Ore “Niente cultura, niente sviluppo”: la cultura può avere la forza di aiutare un paese a risollevarsi da un momento di crisi economica?
Ho aderito con convinzione al manifesto del Sole. Possiamo ripartire solo mettendo al centro dello sviluppo un progetto organico che non riguardi questo o quel ministero, ma sia trasversale, investendo famiglia, scuola, università, formazione, ricerca scientifica, conservazione e valorizzazione dei beni artistici, e perchè no, turismo e tempo libero. Certo, ci vorranno anni e decenni, ma l’alternativa è una rapida implosione. Non ci possiamo più permettere questo precariato criminale, o il fatto che tanti talenti siano costretti ad andare all’estero. Siamo seduti su un mare di petrolio e non lo sappiamo sfruttare, non sappiamo trasformarlo in un valore di crescita per tutti, a cominciare da bambini e ragazzi. La cecità (e l’incultura) delle classi dirigenti del dopoguerra, nessuno escluso, è drammatica. Adesso bisognerebbe passare dagli appelli alla concretezza fattiva. E’ una priorità assoluta. Ci sono in giro tanti uomini di buona volontà che non sanno dove incanalare la loro voglia di fare, la loro disponibilità disinteressata. Dovremo darci nuove forme di associazione e di gestione, anche perchè l’affondamento dei partiti sarà rapido, come la fase finale di ogni naufragio.

Industria e cultura nel nostro paese hanno trovato un momento di felice sintesi negli anni cinquanta e sessanta: è ancora possibile ricreare questo binomio virtuoso?
Personaggi come Adriano Olivetti o Raffaele Mattioli non esistono più. Con l’eccezione degli industriali veneti che promuovono il Campiello, o di Della Valle che restaura il Colosseo, di imprenditori illuminati se ne vedono pochi. Si rendessero almeno conto che la crisi è anzitutto una crisi culturale, ed etica. Converrebbe anche a loro.

In questi ultimi anni il rinnovamento di Torino è passato anche attraverso grandi iniziative culturali: quanto sono state determinanti per il rilancio della città dopo la crisi degli anni ’80-’90?
Torino ha saputo gestire il lungo declino della Fiat e reinventarsi in maniera mirabile. E’ sempre più avanti di dove uno se la immagina. Oggi è una delle città più belle e vivibili d’Europa, e si è meritata le tre stelle della guida Michelin. L’offerta culturale è ricchissima, con pochi riscontri in Europa.

L’oggetto libro è davvero destinato a scomparire o, piuttosto, ad evolvere e mutare come è accaduto negli ultimi secoli?
Come dice Umberto Eco, il libro è l’invenzione perfetta. Durerà a lungo, felicemente. La cosa importante sono i contenuti, non i supporti. Vedo il cartaceo e il digitale avviati a una serena e fruttuosa convivenza (le potenzialità creative dei nuovi mezzi sono strabilianti). Ma dobbiamo ricordarci di concentrare le nostre attenzioni sugli utenti, creare dei lettori che sappiano scegliere, perchè in rete la confusione è grande, il trash si spreca. La rete ci deve aiutare a creare nella nostra mente collegamenti sempre più complessi e sofisticati. Ci deve aiutare a interrogare e mettere a frutto il grande patrimonio della nostra tradizione culturale, non ad appiattirci su un presente superficiale, nevrotico, modaiolo. La sfida mondiale che è in corso richiede un sapere approfondito. Un Paese vale per quello che sa, e oggi purtroppo noi sappiamo sempre meno. Se non ci svegliamo siamo destinati a diventare una colonia altrui.

Cosa rendeva unica l’esperienza della casa editrice Einaudi?
Quello che si era riunito intorno a Giulio Einaudi sin dagli anni del fascismo trionfante (e ci voleva un gran coraggio anche fisico) era un gruppo di persone formidabili, che volevano cambiare il mondo con i buoni libri. Da Leone Ginzburg a Pavese, da Bobbio e Mila a Vittorini, Calvino, Bollati, e tanti altri, li ricordo con ammirazione per quello che sono: dei giganti. In testa a tutti metto Luigi Einaudi, perchè Giulio è un suo prolungamento.

Quale resta l’insegnamento di un editore come Giulio Einaudi?
Appena sono entrato in casa editrice nel 1963, Giulio Bollati mi ha spiegato che Einaudi era un capitalista di tipo speciale: non voleva accumulare profitti, ma prestigio. E il prestigio te lo procuri sparando il più alto possibile, mirando alla qualità assoluta, al rigore delle scelte, alla capacità di guardare al futuro, di scommettere su quello che gli altri non sono ancora in grado di vedere. Un genio assoluto.

Secondo lei per quale ragione gli autori italiani sono poco pubblicati all’estero?
Anzitutto perché l’italiano è una lingua minoritaria, anche se molto studiata. Poi perchè, per una serie molto complessa di ragioni storiche, troppi scrittori italiani sono più letterati che narratori. Adesso però corriamo il pericolo opposto: si scrivono prevalentemente romanzi di genere, il giallo, il noir, l’hard boiled, in un italiano piatto e banale solo per farsi tradurre più facilmente sul mercato anglo-americano. Della qualità della scrittura non si occupa più nemmeno la critica. Ma la scrittura non è un di più, un abbellimento posticcio. E’ tutto. E’ lo specchio di quello che siamo, è il più potente dei microscopi o dei telescopi. Guai ad accontentarsi di guardare le cose a occhio nudo. La buona scrittura è quella che mette in moto la nostra immaginazione, non quella che ci assicura una tranquilla digestione.

Alessandro Bartol

Ernesto Ferrero (Torino,1938) inizia a lavorare nell’editoria nel 1963, quando diventa il responsabile dell’ufficio stampa della Casa Editrice Einaudi. Gli anni ’60 e ’70 coincidono con il momento di massimo splendore della casa torinese, quando nel famoso consiglio del mercoledì siedono personaggi come Elio Vittorini e Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Norberto Bobbio e Massimo Mila, lo storico Franco Venturi, Giulio Bollati. Alla fine degli anni ’70 diventa direttore letterario della Einaudi; negli anni ’84-’89 come direttore editoriale darà un contributo decisivo al superamento della crisi economico-finanziaria del 1983, e al pieno rilancio della casa. Altre esperienze di lavoro lo vedranno segretario generale della Boringhieri, direttore editoriale in Garzanti e direttore letterario presso Mondadori. Nel 1998 è chiamato a dirigere il Salone Internazionale del libro di Torino. Come scrittore ha pubblicato, tra l’altro, I gerghi della mala dal ’400 a oggi (Mondadori, Premio Viareggio Opera prima), Carlo Emilio Gadda (Mursia), Album Calvino (Mondadori), Primo Levi (Einaudi), Barbablù (Mondadori), Cervo Bianco (Mondadori), N. (Einaudi, Premio Strega), Lezioni napoleoniche, (Mondadori), Elisa (Sellerio), I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli), La misteriosa storia del papiro di Artemidoro (Einaudi), Disegnare il vento. L’ultimo viaggio del capitano Salgari (Einaudi), L’Ottavo Nano (Einaudi), Il giovane Napoleone (Gallucci). Collabora a “La Stampa”, ed è presidente del Centro Internazionale di studi Primo Levi.

Menu