Gabriele D’Annunzio, Inquieto e non solo.

Intervista a Giordano Bruno Guerri a cura di Alessandro Bartoli.

In occasione dell’anno dannunziano indetto per celebrare il 150° anniversario della nascita dell’inquieto poeta, abbiamo intervistato Giordano Bruno Guerri, autorevole Presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera. Guerri ha delineato alcuni profili peculiari e meno noti della complessa personalità dannunziana, la sua modernità, le sue intuizioni e anticipazioni sulle innovazioni del Novecento, le sue inquietudini amorose e esistenziali e il suo complesso rapporto con il fascismo oltre alla sua istintiva ripugnanza per il nazismo. Ne emerge il ritratto di un personaggio ancora oggi capace di stupire per la capacità di attraversare con poliedricità diverse stagioni artistiche e storiche mantenendo sempre alto il profilo intellettuale. Ancora estremamente affascinante e complesso il personaggio D’Annunzio ha superato anche la stagione post sessantottina in cui si cercò di offuscarne gli indubbi pregi artistici in ragione della sua militanza politica e dell’impresa fiumana da molti storiografi interpretata come preludio all’avvento del Fascismo. Ad oltre settant’anni dalla sua scomparsa il poeta guerriero è rivisitato con estrema competenza dal più autorevole dei suoi biografi.

D’Annunzio fu una moderna personalità del Novecento: poeta, soldato, aviatore, linguista e abilissimo precursore dell’uso dell’immagine, della pubblicità e dalla comunicazione di massa. Il 2013 è l’anno del 150° anniversario dalla nascita di Gabriele D’Annunzio: quali sono gli elementi di modernità, attualità e inquietudine della sua complessa figura?

“D’Annunzio è uomo moderno, inserito pienamente nel secolo ventesimo, quello del futurismo, il secolo della velocità , del volo, il secolo della pubblicità, dell’immagine e della comunicazione di massa, certamente inquieto. Alcuni esempi? Nel 1909 a Montichiari viene inaugurato il Primo Circuito Aereo ed eccolo che, dimentico del pericolo, decide di salire su aerei di Glenn Curtis e Calderara: “Vorrei poter salire a centinaia di metri nello spazio! Deve essere di un’ebbrezza incomparabile. Oh, io abbandonerei tutto, tutto per dedicarmi all’aviazione. Invidio questi uomini che hanno fatto del volo lo scopo della loro vita”. E ancora, se oggi anteponiamo l’articolo femminile al termine automobile lo dobbiamo al poeta abruzzese: come tutti i mezzi di trasporto, il tram, il treno, il carro, l’automobile era considerato di genere maschile, lo automobile. Ma, grazie a una famosa lettera al senatore Agnelli, D’Annunzio stabilisce una volta per tutte che l’automobile è femminile poiché “ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice e non da ultimo una virtù sconosciuta alle donne: la perfetta obbedienza”. D’Annunzio, con grande intuito rispetto a intellettuali e letterati fra ‘800 e ‘900, capisce anche da subito le potenzialità del cinema, la decima musa capace di incantare folle di cittadini. Eccolo allora partecipare al colossal Cabiria o allestire negli anni ’30 al Vittoriale un cinematografo dove proiettare per sé e per i suoi ospiti film drammatici o comici ma anche cartoni animati come quelli di Braccio di Ferro. E sempre per la sua volontà di catturare e ammaliare le masse, ecco che, primo fra tutti, a Fiume “inventa” il discorso dal balcone che tanta fortuna troverà durante il ventennio fascista. D’Annunzio è stato anche abilissimo pubblicitario, come avremo modo di festeggiare proprio l’anno venturo, quando una serie di grandi marchi e prodotti ricorderanno i contatti avuti con il poeta che per loro aveva inventato nomi e slogan finalizzati al lancio di liquori, panettoni, sciroppi, inchiostri, tessuti, magazzini. Da tutto questo ricava del denaro che prontamente “reinveste” in lussi e capricci. Ma D’Annunzio è anche moderno nella sua capacità di essere uomo-immagine, uomo da copertina: l’eleganza dei suoi abiti di sartoria la si può ancora oggi ammirare al Vittoriale, nelle vetrine del D’Annunzio Segreto, il museo da me fortemente voluto. Infine nell’Italia di oggi, dove crollano i muri delle dimore di Pompei, d’Annunzio è modernissimo nella sua veste di cronista, denunciando gli scempi edilizi della Roma umbertina e adoperandosi a favore del recupero e del restauro di luoghi d’interesse storico o culturale: dalla pineta di Ravenna – il primo bene ambientale a essere messo sotto tutela – all’abbazia romanica di San Clemente di Cesàuria e al campanile di San Marco a Venezia, rovinosamente crollato nel 1902.

D’Annunzio fu dunque un uomo positivamente inquieto, ma quale fu invece il timore più nascosto e meno confessato?

Sicuramente lo spettro della decadenza, la vecchiaia, definita turpe, odiosa. “La vergogna della tarda carne superstite allo spirito dimezzato o estinto“, “la peggiore delle tristezze per un combattente“.  Al Vittoriale, soprattutto, la sua malinconia assume i connotati di una patologia depressiva, di una frustrazione che cerca invano di superare – e invece probabilmente acutizza – con la smodatezza del sesso e con l’uso quotidiano di droghe.

Virtù e conoscenza in d’Annunzio: si tratta di un ossimoro o di un interrogativo sensato?

Per Gabriele amare significa conoscere, uno dei suoi motti è «Non chi più soffre ma chi più gode conosce». Godere del piacere non vuol dire lasciarsi andare a una lussuria animalesca. «La voluttà», scrive in un appunto autografo, esaltando l’immaginazione, alimenta il crescere dello spirito».

D’Annunzio principe rinascimentale e signore di Fiume, per cui volle una costituzione, la Carta del Carnaro, che stupisce ancora oggi per modernità e sensibilità.

La Carta del Carnaro, la cui versione originale vergata interamente a mano da Gabriele D’Annunzio è conservata negli Archivi del Vittoriale, fa impallidire molti testi costituzionali vigenti oggi nel mondo, per la sua apertura democratica e per l’avanzata spregiudicatezza di molti suoi assunti centrali, che oggi definiremmo libertari. Il Governo della Repubblica tale era a tutti gli effetti – veniva affidato a sette rettori eletti dagli organi legislativi. La parità dei sessi veniva stabilita come un dogma inderogabile, ogni cittadino era elettore ed eleggibile a partire dai vent’anni. I Comuni godevano di grande autonomia e nelle scuole tutte le etnie avevano diritto all’insegnamento della propria lingua, riconosciuta dallo Stato. L’istruzione era gratuita e doveva svolgersi in scuole “chiare e salubri”, che curassero anche “l’educazione corporea in palestre aperte e fornite“. La Reggenza poneva “alla sommità delle sue leggi la coltura del popolo” e faceva divieto di qualsiasi insegnamento religioso o politico nelle scuole. La libertà era estesa a ogni forma del comportamento umano, a partire dal pensiero e dalle credenze religiose. Veniva garantita l’assistenza sociale per la malattia, invalidità, disoccupazione, vecchiaia. I lavoratori erano inseriti in un sistema corporativo che doveva porre fine al dissidio padroni-oppressori e proletari-vittime del mondo capitalistico. Infine un articolo della Carta, pur riconoscendo il diritto alla proprietà, lo vincolava alla sua utilità sociale. Fiume fu un’esperienza limitata, durata poco più di un anno, ma a Fiume d’Annunzio aveva gettato un seme che avrebbe germinato, e germinerà, nei decenni a venire.

Quale fu il rapporto tra D’Annunzio e il Fascismo? E’ vero che criticò l’alleanza tra Italia e Germania definendo Hitler un “pagliaccio feroce“?

Il rapporto fra D’Annunzio e il fascismo è complesso, ambiguo, difficilmente spiegabile in poche parole. Certo è che dopo i tristi fatti di Fiume d’Annunzio si ritira nel suo eremo gardonese, comportandosi da spettatore nei confronti di un movimento fascista sempre più forte e aspettando, invano, che qualcuno – ricordandosi di lui – venga a chiamarlo come salvatore della Patria. Sottovalutare Mussolini fu il più grande errore politico della sua vita. Vero è che D’Annunzio contrastò sin da subito l’alleanza con Hitler; in una lettera del 9 ottobre 1933, buon profeta, con grande anticipo aveva messo in guardia Mussolini verso un uomo “dall’ignobile faccia offuscata sotto gli indelebili schizzi della tinta di calce e di colla”; quell’ex imbianchino, Adolf Hitler, ora minacciava l’Europa e la libertà. La morte, sopraggiunta nel 1938, gli evitò, se non altro, di assistere alla firma del Patto d’Acciaio e alle tragedie della Seconda guerra mondiale.

D’Annunzio ha avuto qualche erede culturale o solo qualche emulo mancato (o mancante)?

Domanda vana…

 

Giordano Bruno Guerri

Giordano Bruno Guerri è storico e saggista, professore universitario, oltreché autore e conduttore televisivo. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: “Giuseppe Bottai, un fascista critico”, “Galeazzo Ciano, “L’Arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte”, “Italo Balbo”, “Gli italiani sotto la chiesa”, “Eretico e profeta”, “Ernesto Buonaiuti un prete contro la chiesa”, “D’Annunzio, l’amante guerriero”, “Filippo Tommaso Marinetti”, “Il sangue del sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio”.

 

 

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