Gibilterra: piccola nazione europea

L’originale storia inquieta dell’ultima colonia britannica in Europa, la sua determinazione a non essere annessa alla Spagna e il suo lento sviluppo da fortezza militare, sentinella britannica del Mediterraneo, a piccola nazione europea, gelosa del suo legame con l’ex potenza coloniale che ancora oggi ne amministra la politica estera e di difesa.

Alessandro Bartoli 

Tutti, o quasi, sanno che Gibilterra è stata una colonia inglese. Ma lo è ancora alle soglie del 2010? La risposta, a sentire i trentamila cittadini che vivono aggrappati alla rocca più meridionale d’Europa, sembrerebbe un imperituro sì. 

Gli inglesi che la espugnarono alla Spagna nel 1704, videro riconosciuta la loro sovranità nel 1714, all’articolo X del trattato di Utrecht. Gli spagnoli, che l’avevano riconquistata ai mori solo nel 1462, non riuscirono mai più a metterci piede, nonostante i tredici assedi intrapresi a tal scopo per terra e per mare. Quando all’inizio del Settecento gli spagnoli evacuarono Gibilterra sotto il fuoco delle fregate inglesi ed olandesi, anche i seimila civili che vi vivevano abbandonarono il promontorio. Gli inglesi, dopo aver fortificato la rocca e la cittadina, vi insediarono una guarnigione permanete, consapevoli di aver guadagnato la porta d’ingresso al Mediterraneo. Con giustificata prosopopea albionica, già cinquant’anni dopo osavano definire il Mare Nostrum un grande lago inglese. 

 Il popolo gibilterrano

A costituire il tessuto civile di Gibilterra ci pensarono commercianti e marinai provenienti da tutto il Mediterraneo, soprattutto liguri, siciliani, maltesi e ebrei sefarditi giunti dal vicino Marocco, i primi ebrei a poter professare liberamente il loro credo nella penisola iberica dal 1492. Si creò così un melting pot culturale in miniatura dove, su una superficie di  6 kmq, da tre secoli coesistono quattro sinagoghe, una cattedrale cattolica, una cattedrale anglicana e, più di recente, anche una moschea e un tempio indù. Cognomi liguri come Bozano, Stagnetto, Canepa e Risso convivono con i siciliani Caruana, La Lumia, con gli ebraici Levi, Hassan, Sarfaty e, naturalmente, con i cognomi inglesi, irlandesi e di altri paesi che componevano il defunto Impero britannico.  La coscienza di potere essere

Manifestazione in favore dell'unione con UK, 1966
Manifestazione in favore dell'unione con UK, 1966

un popolo arrivò relativamente tardi ai gibilterrani attraverso il forzoso esilio a cui furono costretti durante la seconda Guerra mondiale: Churchill, temendo una cobelligeranza spagnola al fianco di Germania e Italia, fece evacuare tutta la popolazione civile non essenziale alla vita della piazzaforte militare. Nell’estate del 1940 oltre dodicimila persone vennero evacuate in Gran Bretagna, a Madera e in Giamaica. Durante i cinque anni che seguirono trascorsi dai gibilterrani nelle fumose vie di Londra, sotto i bombardamenti tedeschi, o  nelle baracche di lamiera ondulata in Giamaica, nei loro animi si formò un senso nazionale di patria. Già all’indomani della fine della guerra, un intraprendente avvocato, Sir Joshua Hassan, fondò il primo importante partito gibilterrano di ispirazione laburista, divenendo prima sindaco e, poi, primo ministro del governo locale. 

The Hon. Sir Joshua Abraham Hassan GBE KCMG LVO QC (August 21, 1915 – 1 July 1997) was the first Chief Minister of Gibraltar, serving two terms and for a total of 17 years. His first term of office lasted from 11 August 1964 to 6 August 1969, and his second from 25 June 1972 to 8 December 1987. He was leader of the Association for the Advancement of Civil Rights and is seen as the key figure in the civil rights movement, and played a key role in the creation of Gibraltar’s institutions of self-government. Prior to the creation of the post of Chief Minister, Hassan had served as a member of the Gibraltar Legislative Council, as Mayor of Gibraltar, and as the Chief Member of the Legislative Council. He was prominent in Gibraltar politics for over 30 years. [en.Wikipedia]
 
Hassan reclamò per il suo piccolo paese gli stessi trattamenti assegnati dalla madrepatria alle più grandi colonie mediterranee di Malta e Cipro: welfare state, edilizia popolare e soprattutto un graduale passaggio di potere dai militari ai civili. Nel corso dei successivi trent’anni la città, il porto e l’aeroporto vennero ammodernati e dallo status di colonia si passò a quello più moderno di dominion, come il Canada e la Nuova Zelanda. 

 

L’ultimo “assedio” spagnuolo

La Spagna continuò a fare scintille all’ONU, boicottando ogni contatto civile e commerciale con Gibilterra. L’ultimo “assedio” in un certo senso fu il lungo embargo terrestre imposto dal generale Franco tra il 1969 e il 1985: frontiere chiuse, cavi telefonici tagliati, nessuna possibilità di dialogo e comunicazione diretta con la vicina Spagna. 

Nel 1985, finita la dittatura, gli spagnoli bussarono alle porte della CEE. In quel frangente il veto inglese al loro ingresso avrebbe infranto i progetti europeisti del governo socialista di Felipe Gonzales. Si raggiunse un accordo: si riaprirono le frontiere e si riallacciarono le linee telefoniche con Gibilterra. Nel frattempo la rocca si stava arricchendo diventando un paradiso fiscale per società offshore e filiali di banche mi mezzo mondo, mantenendo un discreto traffico portuale e attraendo turisti da tutta Europa. 

Gibilterra: città cosmopolita e multietnica

Dopo oltre trent’anni di governo laburista, a metà anni novanta, i liberali di Caruana hanno vinto le elezioni e ribadito il loro risoluto rifiuto ad ogni ipotesi di cessione della sovranità alla Spagna, facendo approvare con un referendum la nuova costituzione che sancisce la volontà di continuare a delegare affari esteri e difesa alla Gran Bretagna.   Ottenuta una nuova carta costituzionale ed un completo self government  interno, i gibilterrani hanno ottenuto anche il diritto mandare un proprio eurodeputato a Bruxelles. 

Probabilmente oggi Gibilterra rimane l’ultimo esempio di antica città cosmopolita e multietnica del Mediterraneo. Scomparse le comunità levantine di Salonicco, Alessandria, Costantinopoli e Tangeri, Gibilterra conserva tenacemente questa vocazione multiculturale, sotto l’antica protezione britannica, consapevole che l’importanza e la peculiarità della rocca si dissolverebbero il giorno successivo la sua annessione alla vicina Spagna.   Eppure, se in parlamento e nelle corti di giustizia la lingua ufficiale continua a rimanere l’inglese, per strada e negli uffici lo spagnolo è diventato la lingua comune, mentre tra le mura domestiche delle famiglie più antiche ancora si possono udire vocaboli del dialetto ligure, siciliano o del ladino, la lingua fossile degli ebrei sefarditi. 

Gibilterra: modello di studio sociale ed economico

All’originario melting pot europeo negli ultimi decenni si sono aggiunti gli immigrati indiani e marocchini, venuti a coprire le mansioni lavorative ormai snobbate dai gibilterrani più agiati. Oggi le Colonne d’Ercole sono più che mai un punto di delicato contatto tra nord e sud del mondo, al pari del canale di Sicilia.  Attraverso questo stretto braccio di mare passa il traffico di migliaia di clandestini che ogni anno cercano di entrare in Europa e che il democratico e liberale governo di Zapatero respinge con la stessa fermezza del popolare Aznar. Il fondamentale diritto d’asilo, come in Italia, è stato affievolito a fronte della primaria necessità di contenere i flussi migratori, particolarmente pesanti per i paesi rivieraschi. Gibilterra, in relativa controtendenza, ha ben accolto il suo lillipuziano numero di immigrati, deliberando senza alcun problema la costruzione di una moschea e di un tempio indù a  completo carico delle autorità religiose competenti. Peraltro il Mediterraneo ha sempre visto migrazioni verso entrambe le sponde – e quindi non sempre da sud verso nord – basti ricordare le migliaia di italiani e francesi che emigrarono dalla metà dell’Ottocento verso l’Egitto, per la costruzione del Canale di Suez, come progettisti ed operai ma anche per aprire attività artigianali, commercianti e industriali. 

Forse Gibilterra per sua peculiarità storica non può essere un esempio di integrazione per nessun paese rivierasco ma, certamente, può essere un modello di studio sociale ed economico, dove le più disparate culture continuano ad incontrasi, scontrasi  e coesistere nelle rispettive individualità. 

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