Il labirinto come simbolo del viaggio entro e oltre il limite

Iliana Borrillo
Il labirinto segnala la coincidenza fra significati opposti: vita e morte, bene e male assurgendo a emblema della ricerca dell’infinito, del “plus ultra“. Dal mito di Teseo che vince grazie alla volontà razionale di Arianna, passando al Cristianesimo dove Satana può essere sconfitto solo con la forza della fede in Cristo, si giunge all’età del Barocco che introduce il labirinto multicursale, simbolo dell’uomo capace di sperimentare, padrone del proprio destino. Internet è l’odierno labirinto nel quale l’uomo senza limiti, ma anche senza destinazione, non ha ancora compreso se deve ritenersi più libero o più prostrato.
Il labirinto parla della complessa rischiosità del mondo, emblema della ricerca dell’infinito.
Quasi  cinquemila anni fa compare nell’area mediterranea, da dove inizia a diffondersi in tutto il mondo, un semplice disegno geometrico, il labirinto. E’ costituito da alcune linee e corsie che, disposte  in una spirale oppure un quadrato, tracciano un percorso verso il centro. Significativamente l’ ingresso  coincide con l’uscita. Grazie a questa costituzionale ambivalenza simbolica, il labirinto segnala la vicinanza, sovrapposizione o addirittura coincidenza fra significati opposti e narra il rapporto dialettico  fra spazio sacro delimitato/limitante e il crescente ed irrefrenabile bisogno dell’uomo di affermare la sua soggettività.
Da sempre, anche se enfatizzato in modi diversi,  il labirinto  parla della rischiosa complessità del mondo, di vita e morte, di bene e male, di perdizione e redenzione; parla anche di solitudine, di angosce e paure, di misteri occulti e segreti gelosamente custoditi. E’ diventato l’emblema  per eccellenza della ricerca dell’infinito, e dunque del “plus ultra”, del non-limite che si apre verso una dimensione  nuova, ancora da esplorare  da parte di noi esseri finiti e limitati. Chi lo percorre o  contempla  diventa consapevole che il confine fra umano e divino, fra finito e infinito è misteriosamente permeabile. Non a caso la sua unica apertura ci tenta irresistibilmente al transito.
Dal mito di Teseo al Cristianesimo il labirinto è sempre monocursale.
Benché il disegno crei l’impressione di un groviglio inestricabile di meandri, motivo per il quale usiamo spesso la metafora del labirinto per indicare situazioni di smarrimento e di complessità incontrollabili,  il supposto disordine è  solo apparente. Fin dai tempi del mito di Teseo che vince il Minotauro grazie all’astuzia di Arianna, il gomitolo a scopo orientativo era superfluo, visto che il labirinto cretese è monocursale: consiste di un solo percorso che non conosce né bivi né scorciatoie e conduce obbligatoriamente al centro e da lì di nuovo fuori.
Il filo non era dunque un mezzo di conduzione, bensì un mezzo di condotta: indica metodo, attenzione  e  continuità. Il labirinto stesso ricorda un filo disposto come un gomitolo, come a dire che nulla è semplice e lineare. E’ il filo mentale, invece, che ininterrottamente tiene insieme, che crea legami e traccia i confini del nostro spazio esistenziale. Arianna esprime dunque la nostra volontà razionale che, simbolicamente, ci aiuta a vincere la nostra prova esistenziale: arrivare al centro, vincere la lotta con il mostro, il demonio,  l’incubo o il terrore che lo abita e tornare indietro salvi, ma trasformati e  iniziati ad una vita diversa.
Durante il Medioevo questa dinamica psichica viene adattata al cristianesimo: Satana (Minotauro) può essere sconfitto solo con la forza della fede in Cristo (Teseo) portatore del raggio luminoso della  divina speranza (filo di Arianna). Allo stesso tempo il centro simboleggia anche l’approdo alla Città di Dio, dove attuare la conversione  e incamminarsi sulla strada della salvezza.
La ripartizione in quattro parti, avvenuta già in periodo romano, diventa simbolo del nuovo principio ordinatore, la croce dove la traiettoria orizzontale dell’esistenza umana s’interseca con un’aspirazione verticale verso Dio. Il percorso fisico del labirinto, incastrato nella pavimentazione delle cattedrali gotiche, diventa un pellegrinaggio meditativo di penitenza ed espiazione verso la fede salvifica, la cui parola d’ordine è “ubbidienza”. Non a caso il labirinto medievale rimane rigorosamente  monocursale, nonostante le sue dimensioni amplificate e un percorso estremamente elaborato. La “retta via” per raggiungere la beatitudine è una sola e rimane scrupolosamente dentro  il recinto dell’ortodossia.
Dall’età del Barocco il labirinto diventa multicursale: l’uomo è padrone del proprio destino e può scegliere.
Il Rinascimento trascura il labirinto come simbolo, ma apre la strada ad una nuova concezione dell’uomo e di riflesso, di Dio, che l’età del Barocco renderà evidente con la forte ripresa del simbolo. Il mutato rapporto fra sacro e profano si rispecchia nella tensione fra realtà ed apparenza. Insieme alle rivoluzionarie scoperte geografiche e astronomiche che hanno spostato i confini del mondo e reso illimitato l’universo, pure l’uomo ha allargato gli orizzonti della sua coscienza e consapevole delle sue mutate condizioni esistenziali  rivendica adesso la possibilità di sperimentare se stesso, dubbi ed errori compresi. Realizza quindi sinuosi ed intricati labirinti all’aperto, dove smarrirsi,  cedere a distrazioni e girare a vuoto diventa parte del gioco che, come il destino, è capriccioso ed ingannevole, ma anche intrigante e divertente. Un’ ulteriore enfasi di questa concezione è l’introduzione del labirinto multicursale, nel quale più di una strada porta al centro, come dire, che l’uomo può e deve scegliere fra diverse opzioni ugualmente valide.
Internet è l’odierno labirinto di un uomo senza limiti ma anche senza destinazione.
L’espressione più emblematica del labirinto contemporanea è senz’altro Internet, ormai assurto allo status di cosmogramma universale di un mondo estremamente complesso e  mutevole. Occupa uno spazio virtuale in continua espansione, senza percorsi già tracciati né  un centro da raggiungere. Non esistono né  scelte o ruoli  nè modelli comportamentali prescrittivi. Vi si può accedere  in un qualsiasi momento, in un qualsiasi punto per  seguire un percorso personale realizzato sull’istante.
Resta da chiarire, però, se il moderno “internauta”, che naviga a vista in mezzo a un immenso mare  di scelte e alternative, sia diventato un nuovo Ulisse o non un eterno migrante, schiavo di una sconfinata offerta pluralista e sincretistica. L’uomo senza limiti è un uomo liberato o un uomo prostrato? Essendo senza destinazione può ancora avere un destino? C’è chi ipotizza che l’unica via d’uscita per l’uomo da questo empasse sarebbe un gesto coraggioso, forse addirittura eroico:  creandosi, egli stesso, dei limiti.
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