Ilaria Caprioglio
A trent’anni dalla chiusura della miniera di Abbadia San Salvatore “Il Piccolo Minatore” è ancora lì a raccontare la Sua Storia di onestà, laboriosità e rispetto per il prossimo. Può accadere, durante una vacanza nelle crete senesi, mentre percorri le sue dolci colline alla scoperta di un borgo medievale o di un’antica abbazia, di giungere al Monte Amiata. Può accadere di fermarti incuriosito davanti a una vecchia miniera [Parco Museo Minerario, Abbadia San Salvatore SI, www.terreditoscana.net] non più in attività e di incontrare il Piccolo Minatore [“Il Piccolo Minatore” di Paolo Contorni, ed. Parco Nazionale Museo delle miniere dell’Amiata, 2007], che, con una accattivante parlata toscana, ti strappa via da lussi e spensieratezze trascinandoti nelle viscere della terra, sempre più giù fino a quattrocento metri di profondità, dove il silenzio è assordante e il buio accecante.
Scomparsa della luce
Paolo, il nome della guida in questo inferno dantesco, nacque qui, ad Abbadia San Salvatore, oltre settant’anni fa. A quei tempi l’unica possibilità per non fare la fame era andare a lavorare in miniera. Fu minatore suo nonno, che morì a causa di una frana in galleria, fu minatore suo padre, che morì di silicosi, la “malattia professionale” che scaturisce dalla polvere respirata e depositata nei polmoni e, a quattordici anni, iniziò a essere minatore lui. Il primo giorno di lavoro lo ha impresso in modo indelebile nella memoria: lo accompagnò il babbo che, con gesti sicuri, gli preparò la lampada ad acetilene, prezioso strumento per sopravvivere là sotto. Poi lo affidò al suo “minatore” – Minatore scelto (caposquadra) – un uomo già esperto dal quale avrebbe appreso le mille insidie che si nascondono sottoterra. Di quella mattina Paolo racconta, ancora con commozione, il momento della scomparsa della luce quando smarrito si aggrappò al braccio del futuro compagno di lavoro, scoprendo un mondo che mai avrebbe immaginato potesse esistere. Un mondo fatto di buio, caldo soffocante e silenzio, squarciato dal rumore dei macchinari che perforavano la roccia e dagli scoppi dell’esplosivo per aprire nuovi “avanzamenti”, cioè nuovi fronti di scavo alla ricerca del cinabro, minerale dal quale si estraeva il mercurio, richiesto soprattutto dall’industria bellica. Tuttavia in quel mondo si imparava a rispettare il prossimo, si era “pronti a dare la vita per salvare quella del proprio compagno di lavoro”, come recitava il loro motto, si percepiva fiducia reciproca e senso di appartenenza. Paolo, dopo quella mattina, ha trascorso trentadue anni a picconare con forza la terra che sgretolandosi diveniva color porpora e ha battezzato, a sua volta, molti giovani minatori.
Solidarietà sul lavoro
E’ anche rimasto prigioniero della miniera: un rumore assordante alle sue spalle e la frana, decine di metri cubi di terra e sassi che lo chiusero in una nera cella, con vicino il collega giovane e inesperto da confortare e rassicurare. Il tempo non scorre in quei momenti, mentre la speranza che qualcuno venga a liberarti si consuma, come si consuma l’ossigeno da respirare e il carburo della lampada ad acetilene che, spegnendosi, permette alle tenebre di chiudere gli occhi a un uomo. La libertà la riconquistò grazie al coraggio degli uomini delle squadre di soccorso che, fedeli al motto, non esitavano mai a mettere in gioco la propria vita per salvarne un’altra. Gesti di quotidiano eroismo raramente rintracciabili oggigiorno, in un mondo dove “non è più la fame o la fatica ad abbruttirci, ma la solitudine, la lontananza dagli altri in mezzo a migliaia di esseri umani che ci camminano quasi sui piedi” [“L’amica americana” di Margherita Oggero, ed. Mondadori 200].
Loro furono solidali anche nel difendere il proprio lavoro. Accadde durante la seconda guerra mondiale quando i badenghi – Abitanti di Abbadia San Salvatore – più anziani, rimasti a scavare il mercurio per fare le bombe, misero al sicuro dai bombardamenti tedeschi tutti macchinari. E accade successivamente nel 1959 quando per protestare contro i licenziamenti della Società Monte Amiata, proprietaria delle miniere, restarono sottoterra per ventiquattro giorni anche se “sembra strano parlare di giorni, perché laggiù non esistono l’alba e il tramonto ma solo una lunga notte che nessun raggio di sole riesce a illuminare.”
Pici all’agliata
Paolo il “Piccolo Minatore” è un grande uomo che, con queste parole semplici e asciutte, insegna a essere sempre orgogliosi del proprio lavoro, qualunque esso sia, quando si compie con onestà, laboriosità e rispetto per gli altri.
Paolo è un grande uomo perché regala agli sconosciuti visitatori un’emozione intensa, costringendoli a scendere nelle profondità della propria coscienza che, nel silenzio e nella oscurità di una miniera, finalmente si riesce ad ascoltare.
Dopo che hai conosciuto il “Piccolo Minatore” forse assapori maggiormente la vita, gusti le piccole cose che ha in serbo per te… iniziando magari da un piatto di pici all’agliata!