Inquietudine e Limite – Il paradosso dei vincoli che aiutano a superare i limiti

Il pensiero di Francesca Rigotti: l’uomo contemporaneo vive oscillando tra una concezione “positiva” del limite di derivazione classica e una di impronta cristiana che indica imperfezione e mancanza. Esistono limiti ingiusti e limiti che offrono opportunità. L’aneddoto della voce racchiusa nella  stretta canna di una tromba che esce più acuta e più forte. (ef)

Francesca Rigotti

Forse nessun altro tema si lega così opportunamente all’inquietudine come quello del limite. Il soggetto moderno vive la condizione di «essere costantemente al limite, al di là del limite, nel limite, e proprio per questo in grado di sostenere il limite, di tenerlo fermo come limite tra la scena e il mondo» (Bruno Morosini)

Positività del limite

Oggi avvertiamo il concetto di limite in maniera prevalentemente negativa, intendendolo come costrizione, impedimento, soffocamento. Il realtà tale concetto ebbe nel passato, soprattutto nel pensiero greco classico, una connotazione marcatamente positiva. La «limitatezza» non alludeva per gli antichi greci a una imperfezione o a una privazione quanto a una condizione di pienezza, quella della forma conchiusa tenuta insieme dal limite (péras)come da una benda, una fascia, una cintura che cinge l’essere permettendogli di realizzarsi nella sua forma compiuta e perfetta: limite dunque come fattore di legge, ordine e perfezione.

La svolta cristiana

Nel pensiero cristiano, dove l’universo non è già sempre tutto dato ab aeterno bensì creato nel tempo da un creatore perfetto, le posizioni si invertono: l’onnipotente, onnisciente, increato, necessario, perfetto, non può che aggiungere ai suoi attributi quello di infinito. Così l’uomo creato, contingente e imperfetto non potrà che essere finito, e pertanto limitato. Nel pensiero cristiano il limite diventa segno di dipendenza, imperfezione e mancanza.

L’epoca dell’illimitatezza

Tra queste due concezioni oscilla il soggetto moderno soprattutto nella nostra epoca di illimitatezza esasperata in cui le nuove tecnologie e i nuovi media hanno compresso il tempo e vanificato lo spazio fino a condurre al rifiuto dell’idea della fine, del confine e del limite, e con essa e dell’idea della morte: per molti la necessità è morta, vincoli e limiti non esistono o sono superabili, i contratti  comunque annullabili, le relazioni di lavoro effimere e sostituibili, le parole d’onore ridicole. Eppure, anche se Internet ci illude, facendoci credere che tempo e spazio non finiscono mai, tempo e spazio sono lì, duri come i sassi, e finiscono eccome. Le loro immagini si modificano continuamente grazie alle analisi della fisica e della filosofia; la loro percezione muta e altera i nostri comportamenti, ma essi ci sono sempre e anche se la speranza di vita dei popoli ricchi si è enormemente allungata non siamo ancora divenuti immortali come gli dei greci; e anche se la globalizzazione riuscirà a farci credere che siamo in grado di invadere tutto il globo, anche il globo finisce perché è solo una sfera, rotonda e conchiusa.

Ananke o la necessità

Il soggetto moderno avverte sia il bisogno di protezione e sicurezza offerto dal limite sia la tensione a superarlo. Il vincolo del limite tiene insieme ma allo stesso tempo può stringere fino a soffocare. Non è un caso che la dea greca della necessità porti il nome di Ananke, termine che indicava il cappio, la corda, l’anello al collo del bestiame. L’uomo vincolato e limitato in tutto dalla necessità non è altri infatti che una bestia al giogo priva di vie d’uscita, e l’anello che la stringe un legame che non può essere infranto e dal quale non si può liberare. Significativo è anche il fatto che l’etimologia del termine greco anánke rimandi a una radice semitica chananke basata su tre consonanti, hnk: ad essa sono collegati il greco àncho («strangolare») ma anche il germanico eng («stretto»), da cui Angst («paura»), i latini angor, angustus, angina, l’italiano angoscia. Anche l’etimologia proposta da Platone nel Cratilo collega il termine anánke a una situazione di strettezza. La parola è costruita, spega Platone, «ad immagine del cammino lungo gli ánke («gole»), poché questi, essendo impraticabili, aspri e selvosi, trattengono dall’andare».

Limiti ingiusti e limiti che offrono opportunità

Il fatto è, ripeto, che il limite/vincolo/confine sempre si presenta a noi con una doppia valenza, positiva e negativa. Ci sono limiti che stringono e costringono, che sono ingiusti e prevaricatori e che vanno spezzati, anzi che tutti, in quanto cittadini, dovremmo impegnarci a spezzare. Ma ci sono anche vincoli che offrono opportunità, vincoli che «aiutano a crescere» e a superare paradossalmente il limite stesso. Come il filo che Arianna offre a Teseo per farlo uscire dal labirinto: che da una parte, in quanto filo, fune e legame, vincola e lega; ma dall’altra, in quanto filo del ragionamento e bandolo della matassa, aiuta a ritrovare la strada per uscire dal labirinto stesso. Come l’anello, che da una parte è giogo e collare di schiavitù e dall’altra, in forma di corona o di ghirlanda (concessa per esempio al vincitore dei giochi olimpici), è immagine di premio e di esaltazione della vittoria.

Provo a chiarire questo punto servendomi di un aneddoto di origine stoica ripreso dal grande saggista del 500, Montaigne, nei suoi Saggi: “come diceva Cleante [filosofo stoico], nello stesso modo in cui la voce racchiusa nella  stretta canna di una tromba  esce più acuta e più forte…”. La canna, vuol dire Montaigne, comprime l’aria, la limita e la vincola, ma la fa anche uscire più forte e squillante. Che limiti e vincoli abbiano la stretta funzione di quella stretta canna? Nell’ambito dell’arte, tipi particolari di costrizioni (le dimensioni di un dipinto, la struttura di un sonetto, il tempo di una esecuzione musicale) si sono sempre rivelate produttive e hanno stimolato la creatività. Per quanto riguarda la vita quotidiana, chi non sa che l’avere a disposizione poco tempo è una sfida a trasformarlo in tempo ricco e produttivo?

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