Eugenia Tognotti
Non passa giorno, ormai, senza che i giornali non si occupino degli esaltanti progressi della medicina, sia per quanto riguarda la ricerca di base che le innovazioni tecnologiche e le procedure mediche – terapeutiche, riabilitative, farmaceutiche – che forniscono i mezzi pratici per vincere malattie, sofferenze e infermità.
La speranza di Cartesio, la medicina molecolare e la medicina predittiva
La medicina molecolare sta spingendo la comprensione delle cause di malattia fino ai dettagli più minuti, consentendo di rintracciare un rimedio per ogni possibile malanno. La medicina “predittiva” sfiora il mondo della profezia, individuando i mali prima che si manifestino.
La speranza coltivata nel Seicento da Cartesio, che evocava la figura di “un medico meccanico”, capace di riparare i “congegni” difettosi o rotti, di sostituire pezzi del corpo umano e ritardare l’invecchiamento, non rientra più nell’orizzonte dell’utopia.
Oltre le barriere biologiche
Le magnifiche sorti e progressive della Medicina, insomma, lasciano intravedere non solo la prospettiva di una vita meno minacciata o meno compromessa dalle sofferenze fisiche, dalle infermità, dalle menomazioni della vecchiaia, ma addirittura un dominio senza precedenti della natura e perfino un prolungamento della vita, al di là – perché no? – di ogni barriera biologica. Il suo campo d’azione si è allargato “verticalmente” e “orizzontalmente”, come ha scritto l’autorevole bioeticista americano Daniel Callahan, ora vi si comprendono anche il perseguimento del benessere fisico ed emozionale e il miglioramento dell’aspetto fisico attraverso la chirurgia estetica.
Ma ai nuovi poteri della medicina si ricorre anche per problemi sociali – l’abuso di droghe, lo stress psicologico legato al lavoro e alla vita quotidiana, le nuove paure – di cui nel passato si occupavano associazioni, movimenti, partiti, sindacati.
Ipertecnologie e medicine alternative
Eppure, la percezione soggettiva di benessere fisico non corrisponde alla realtà del fatto che viviamo effettivamente più a lungo e in migliori condizioni di salute che in qualsiasi altra epoca storica .
Non ci sentiamo affatto più sani, più liberi da sofferenze rispetto al passato e, anzi, il numero di malesseri, di disturbi, di “sindromi” e motivi d’invalidità è in continuo aumento. Ma non è l’unico paradosso.
L’iper tecnologizzazione ha impoverito il rapporto medico-malato . Il decollo della medicina specialistica, ha portato ad occuparsi di parti sempre più piccole del corpo umano e l’avanzamento di una medicina di laboratorio – aiutata dal metodo radiologico – ha perfezionato sempre più l’indagine clinica del malato, prima affidata agli occhi, alle mani, all’udito del medico, a stretto contatto con l’ammalato, e attento ai segni fisici della sofferenza e del disagio e alla totalità somatica e psichica dell’uomo, sostituito, soprattutto in ambito ospedaliero, da un orizzonte di organi, tessuti, molecole. Ma non solo.
A dispetto dei portentosi successi delle scienze biomediche nella lotta alla malattia e alla morte, è in continua crescita il numero di coloro che fanno ricorso alle medicine alternative e non convenzionali. E domina un’inquietudine e un’ansia generalizzate. Le cause sono diverse.
Il ciclo della vita. Un modello in crisi?
Ci si interroga sulle esagerate aspettative nella genetica. E lo stesso proporsi orizzonti illimitati (come quello di cancellare la vecchiaia e la morte e perfino di garantire la felicità) da parte della medicina e l’idea di dominare la natura, prima considerata una barriera insuperabile, hanno creato nuovi problemi e tante illusioni , al centro della riflessione di bioeticisti e filosofi della scienza.
Prima dell’avvento della medicina moderna una riflessione di secoli aveva portato a dare significato al dolore e alla sofferenza, e ad accettare l’idea della morte come parte della condizione umana.
La spietata battaglia per cancellarla, sta portando quasi a considerare un anacronismo storico il modello del ciclo di vita che comprende il declino, l’invecchiamento, la fine della vita.
L’espropriazione della salute e i nuovi limiti della medicina
Alcune delle critiche agli sviluppi della Medicina in questi ultimi decenni sono al centro di un libro famoso Nemesi medica. L’espropriazione della salute ( 1976), scritto da un libero pensatore antimodernista, come il filosofo e antropologo austriaco Ivan Illich, scomparso alcuni anni fa e noto per la furia iconoclasta contro la medicina occidentale.
Più di recente le sue ruvide e pungenti denunce avevano colto le aberrazioni di un sistema sanitario che produce senza tregua nuovi bisogni terapeutici. Tanto che, nel nostro tempo, la ricerca della salute appare esso stesso un fattore patogeno, e anzi “il fattore patogeno predominante”.
Non c’è dubbio sul fatto che la medicina abbia davanti a sé il compito di assegnarsi, come bussola morale e propositiva, un “limite” all’interno del quale conviene affrontare la sofferenza e accogliere la morte, anziché respingerla. “Visto l’intasamento dei non morti prodotto dalle cure – ha scritto, caustico, Illich nel suo ultimo libro – e considerata la loro miseria modernizzata, è ormai tempo di rinunciare a voler guarire la vecchiaia”.