Inquietudine in giapponese? Kokoro ga sawagu

Megumi Akanuma e Stefano Lanza
“Kokoro ga sawagu”, sono queste le parole che in giapponese più si avvicinano al concetto di “inquietudine” e quindi di “inquieto”.
Essere inquieto è il ricercare, sovente nella quasi certezza di non poterlo trovare, il Santo Graal, calice da cui bere per placare la sete inestinguibile di conoscenza,  il rinnovare di giorno in giorno quella sfida con se stessi, quel conflitto interiore  che vorresti vincere ed allo stesso tempo perdere perché in caso di vittoria e di raggiungimento di ogni obiettivo l’esistenza  stessa sembrerebbe  perdere ogni significato.
Per questo motivo ci affideremo ad un amico mai conosciuto se non attraverso i suoi libri, anzi confideremo nel suo aiuto,  proprio perché,  grazie alla sua  ricerca della “purezza”, e’ riuscito a  indicarci come ottenere il  passaporto  per accedere alla ristretta cerchia dei liberi pensatori ed al microcosmo senza confini degli inquieti; in questo modo più facilmente potremo rendere comprensibile il senso di “kokoro ga sawagu”.
Epoca Meiji, modernizzazione del Giappone
Hiraoka Kimitake nacque a Tokyo il 14 Gennaio 1925, ma gli occidentali lo conoscono come scrittore sotto lo pseudonimo di  Yukio Mishima.
Il 1925 fu un anno molto importante per la storia del Giappone in quanto l’epoca Taisho terminava ed iniziava l’epoca Showa che vedeva salire sul trono del Crisantemo Hiroito, l’imperatore che più di ogni altro influenzò gli eventi spesso drammatici del XX secolo. Per meglio capire Yukio Mishima bisogna necessariamente fare un breve balzo indietro nella storia, venendo catapultati nel 1866, anno che vede l’inizio dell’epoca Meiji o della modernizzazione del Giappone. Sotto la pressione psicologica (e non solo) del Commodoro Matthew Calbraight Perry che nel 1853 entrò con quattro navi da guerra nella baia di Tokyo, il Giappone fu indotto a stipulare degli accordi commerciali dapprima con gli Stati Uniti e successivamente anche con Inghilterra, Russia, Olanda e Francia, accordi che prevedevano il libero accesso di merci e persone in due porti e di fatto mettevano fine all’isolamento secolare giapponese.
Nostalgia delle norme degli antenati
La smilitarizzazione dei Samurai, la brusca fine del sistema feudale, l’inurbamento dei contadini, la nascita di una borghesia cittadina avida di denaro e priva di scrupoli,  la lenta ma costante invasione di abitudini occidentali fecero di fatto cedere  i cardini che avevano retto per millenni il paese. E di ciò, ed in modo trasversale rispetto alle classi sociali, non tutti furono contenti, anzi a tutt’oggi, nel XXI secolo, non pochi sono coloro che sentono se non la nostalgia, la necessità di ripristinare alcune di quelle norme che avevano  regolato per secoli il paese e ne avevano di fatto decretato la sua originalità civile, etica e  morale.
Per un occidentale l’incontro con il Giappone può essere  a volte “uno scontro”, a maggior ragione per un italiano che, abituato in un paese di legislatori e legulei, talvolta e’ portato a pensare che, in presenza di tante leggi, norme, regole, regolamenti, codici e codicilli, nessuno di essi sia tanto importante da valer la pena di essere rispettato.  In Giappone le regole sono relativamente poche, ma sono state fatte apposta per essere seguite da tutti e vengono insegnate dai genitori e dalla scuola ai bambini che saranno i futuri cittadini; chi si discosta da esse viene emarginato o visto con sospetto. Molti potrebbero dire che questi comportamenti siano privatori o limitatori delle libertà individuali ed il popolo giapponese succube di regole che dal mondo occidentale sono ritenute retaggio ed eredità di un passato da sottomessi al potere ed ai potenti.
Loro preferiscono definirsi “liberi nel rispetto delle regole” e dotati di grande educazione civica e responsabilità.  La verità probabilmente sta nel mezzo e forse sarebbe ora che tutti si impari a convivere con gli altri popoli nel pieno rispetto delle diversità.
L’equilibrio che nasce dalla purezza
Yukio Mishima voleva ritrovare  la “purezza” perduta del Giappone, far rinascere i valori degli antenati, ridare valenza all’onore, ricondurre al disprezzo per l’esteriorità e la sua ostentazione, celebrare il senso del dovere. Questi ideali, per chi non li condivide, sono il pretesto di dare a  Yukio Mishima del fascista o del nazionalista nostalgico o per definirlo, come fece Moravia dopo un incontro a Tokyo, un “conservatore decadente”.
L’inquietudine  di Mishima nasce dalla sua ossessiva ricerca del bello, della perfezione e  dal desiderio di trovare un equilibrio che nasca dalla “purezza”.
Proprio la “purezza” e’ lo spirito guida ed in suo nome tutti i comportamenti atti a raggiungerla possono trovare una giustificazione ed anche la propria vita, pur amandola, poco o nulla rappresenta di fronte ad essa.
Si giustifica così il suo messaggio d’addio che scrisse  il 25 Novembre 1970 quando si rese conto che la “purezza” cercata era oramai definitivamente irraggiungibile, che il sogno di abbracciarla era infranto, tanto che la vita stessa non aveva più motivo alcuno  di essere vissuta: “La vita umana è breve ma io vorrei vivere sempre”.
Yukio Mishima, Socrate e il suicidio per onore
Non so se ci siamo innamorati dello scrittore Mishima oppure abbiamo invidiato chi riesce a rinunciare anche alla vita quando quello per cui si vive è definitivamente perduto. Il suo testamento letterario ed allo stesso tempo politico è la tetralogia “Il mare della fertilità” ove, pur non condividendo tutte le idee di Mishima, non si può fare a meno di essere  travolti da una marea di emozioni, di apprezzare anche quegli elementi che agli europei possono apparire  contraddittori. La fioritura del ciliegio è preso a simbolo della bellezza assoluta che si avvicina alla tanto anelata perfezione. Per noi, non tanto per mancanza di vocazione ma per carenza di perseveranza, il suicidio rituale, il “seppuku” di Mishima elevano l’uomo al di sopra di ogni terrena meschinità”, avvicinandolo a chi, come Socrate, preferì la cicuta alla perdita del proprio onore ed al tradimento della libertà.
Seppuku che merita rispetto
Nei secoli vi sono state  persone che hanno saputo farsi olocausto in nome della difesa di un sentimento che e’ in tutti ma che pochi, anzi pochissimi riescono con straordinario coraggio a far emergere dal fango del quieto vivere, dell’indifferenza, del menefreghismo, dell’interesse economico, del così fan tutti: stiamo parlando della dignità e del diritto ad inseguire i propri sogni.
Non sappiamo se Mishima avesse torto o ragione, se il suo suicidio non fosse altro che il gesto estremo di un folle ancorato ad un passato morto e sepolto. Sappiamo di certo che, in questa epoca senza piu’ valori, dove “io” è sempre più forte di “noi” e dove “noi” è sempre contrapposto a “voi”, come se non fossimo tutti esseri umani con eguali diritti (e doveri), il “seppuku”  di Mishima e la sua ricerca della “purezza” perduta merita almeno rispetto.
Leggendo “Neve di primavera”, “Cavalli in fuga”, “Il tempio dell’alba” e “Lo specchio degli inganni” lasciatevi andare senza che  preconcetti o diversi modi di vedere o pensare possano influenzare la vostra lettura. Fate che l’inquietudine di Mishima diventi la vostra e condividete con lui il desiderio di “purezza”, capendo così, senza necessità di traduzione, cosa voglia dire essere “Kokoro ga sawagu”.
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