La tavola come un altare. Regole alimentari nell’ebraismo

Anna Segre
Fare attenzione a quello che si mangia aiuta a non dare il cibo per scontato e ricordarsi che proviene da Dio. Tra animali permessi e proibiti, stoviglie ed etichette, come si comportano gli ebrei italiani nell’era della globalizzazione? Di fronte al cibo gli ebrei osservanti sono perennemente inquieti: si informano sulla provenienza, leggono con attenzione la lista degli ingredienti, magari acquistano solo prodotti di una determinata marca. Tra tutte le regole e restrizioni presenti nella vita ebraica quelle relative al cibo sono forse le più numerose ed evidenti. Qualcuno potrebbe pensare che queste restrizioni inducano ad una sorta di mortificazione, siano un modo per spingere i fedeli a non dare troppa importanza al cibo e dedicarsi a cose più “spirituali”. Niente affatto, anzi, è vero il contrario. Per la cultura ebraica ogni genere di pasto rappresenta un evento di primaria importanza, tanto che una fonte rabbinica afferma: Quando il Tempio esisteva, l’altare espiava per tutti; dalla distruzione del Tempio, la tavola di ciascuno espia per lui. Dunque la nostra tavola dove consumiamo i pasti di ogni giorno è come un altare: un paragone sintomatico per esemplificare la sacralità che la cultura ebraica attribuisce al pasto. Le numerose regole relative al cibo obbligano a riflettere su ogni cosa che si sta per mangiare, e quindi a ricordare che il cibo è un dono di Dio; attraverso le regole alimentari, insomma, ogni istante della vita viene “sacralizzato”.A riprova di ciò prima di mangiare qualunque cosa si deve pronunciare un’apposita benedizione (berakhà). All’inizio di un pasto vero e proprio si pronuncia la benedizione sul pane, che “include” tutti gli altri cibi che saranno consumati nel corso del pasto. Alla fine si recita la Birkat ha-mazon (benedizione del pasto). Un’altra fonte rabbinica afferma che un ebreo che consuma un alimento senza pronunciare la benedizione è da considerare come un ladro che si appropria di ciò che non è suo, perché il Creato e tutto ciò che vi è in esso appartiene a Dio. Insomma, non possiamo dare il cibo per scontato: l’inquietudine generata dalle regole ci costringe a riflettere.

Cibi permessi e proibiti

Vediamo ora un po’ più dettagliatamente quali sono le principali regole alimentari ebraiche. Un cibo che si può mangiare è definito kasher (o kosher, secondo la pronuncia degli ebrei ashkenaziti, che si usa per esempio in America). Un cibo proibito si chiama taref. L’insieme delle regole relative ai cibi si chiama kasherut.
Elenchiamo qui le principali regole della kasherut:* La carne di alcuni animali è proibita, secondo l’elenco che si trova nella Bibbia. In pratica, tra quelli che si mangiano normalmente, sono permessi i bovini, gli ovini e gli uccelli (non rapaci), mentre sono proibiti maiale, cavallo, coniglio, lepre, rane, lumache, ecc.* Perché la carne di un animale permesso sia kasher occorre che l’animale sia stato ucciso con un metodo particolare (per farlo soffrire il meno possibile) e la carne deve essere privata del sangue perché la vita di ogni animale risiede nel sangue (Levitico 16, 11); inoltre la carne deve essere sottoposta a numerosi controlli igienici. * La carne non può essere mangiata con il latte, per estensione del verso biblico che dice Non cuocere un capretto nel latte di sua madre. Non solo non si possono mangiare carne e latticini insieme, ma neppure nello stesso pasto e si deve aspettare un certo periodo di tempo tra un pasto e l’altro (mezz’ora dal latte alla carne; tre, o, secondo alcuni, sei ore dalla carne al latte).
* Perché i cibi siano kasher dovrebbero esserlo anche le stoviglie con cui sono stati cucinati ed i piatti e le posate in cui sono mangiati. Anche per la carne e il latte ci sono stoviglie, posate  e piatti diversi. Per questo gli ebrei molto osservanti possono mangiare solo nei ristoranti kasher* Sono permessi i pesci con le squame e le pinne, tutti gli altri sono vietati; sono inoltre vietati tutti gli animali acquatici che non sono pesci, (crostacei, molluschi, ecc.) Il pesce, comunque, non è considerato carne, quindi non importa come è stato pescato e può essere mangiato con il latte.* Numerose restrizioni esistono anche per il vino, che per essere kasher deve essere controllato in tutte le fasi della sua produzione

Cosa si fa in Italia?

Ovviamente, non tutti gli ebrei osservano rigidamente queste regole. Molti non le osservano per nulla. Moltissimi praticano vie di mezzo: per esempio, c’è chi fuori casa non mangia carne ma non si preoccupa di piatti e alle stoviglie. Oppure c’è chi si limita ad astenersi dagli animali proibiti. (Non so cosa succeda in altri paesi, ma ho l’impressione che la logica “accomodante” e la proliferazione di soluzioni personali siano tipiche degli italiani, a qualunque religione appartengano).Si può comunque notare che oggi (almeno, in Italia) la tendenza a mangiare kasher è decisamente in aumento. Questo è dovuto a un generale ritorno all’osservanza rispetto alle generazioni precedenti, ma ci sono anche alcuni motivi pratici: prima di tutto, i vegetariani sono sempre più numerosi, quindi oggi negozianti e ristoratori si stupiscono di meno di fronte a chi chiede di non mangiare carne; inoltre i cibi vegetariani sono più facili da trovare oggi rispetto ad alcuni anni fa. L’immigrazione, poi, ci ha favorito, portando in Italia molti musulmani, soggetti a regole alimentari analoghe (anche se meno rigide di quelle ebraiche) e aumentando di conseguenza la diffusione di cibi prima più difficili da trovare (per esempio il pane senza strutto). Oggi sono sempre più frequenti e precise le etichette con gli ingredienti, quindi diventa facile capire quali prodotti sono kasher (occorre dire, però, che è anche più facile capire quando un cibo è taref, mentre una volta qualcuno poteva più facilmente non saperlo, chiudere un occhio e mangiare per sbaglio…). Le comunità ebraiche in Italia mettono a disposizione elenchi di marche e prodotti che si possono mangiare; inoltre si stanno diffondendo anche da noi prodotti specificamente kasher, talvolta fatti in Italia, talvolta importati: in una comunità piccola come quella italiana la globalizzazione gioca a favore della kasherut, anche se alcune tradizioni tipicamente italiane rischiano di scomparire.

Digiuni e feste

Le regole elencate finora riguardano la vita di tutti i giorni. Un discorso a parte andrebbe fatto per i digiuni disseminati nel corso dell’anno (due di circa 25 ore e quattro dall’alba al tramonto) e per le feste, in particolare la Pasqua, su cui eventualmente ritorneremo in un’altra occasione. Limitiamoci per ora a notare che quasi ogni festa ha i suoi cibi tipici. Per esempio, per Rosh Ha-Shanà (capodanno), nel 2010 il 9 settembre, si usa, tra le altre cose, mangiare cibi dolci (fichi, oppure mele intinte nel miele) con l’augurio di un anno buono e dolce, dall’inizio dell’anno alla fine dell’anno.Colgo quindi l’occasione per augurare a tutti un felice 5771!

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