“Oggi come trent’anni fa la società continua a non vedere nella legalità un valore”

Ilaria Caprioglio

Giorgio Ambrosoli, un eroe borghese, venne assassinato l’11 luglio del 1979 da un sicario ingaggiato da Michele Sindona. Il figlio Umberto nel libro “Qualunque cosa succeda” ne ricorda il testamento spirituale e ci aiuta a riflettere su una delle pagine più fosche del sistema di potere della nostra Repubblica.

“Non c’era gusto del gioco senza stare ai patti, né divertimento senza regole. In quel giardino si è formata una parte tanto importante della sua personalità: giocando” così Umberto Ambrosoli (1) racconta suo padre Giorgio da bambino e poi in gioventù, quando sosteneva una sorta di monarchia etica, a tutela del bene di tutti da contrapporre agli egoismi e agli steccati partitici. Perché per lui parlare di politica voleva dire riflettere e non dividersi, capire dove si voleva portare il Paese: partecipare. Si laureò con una tesi sul Consiglio Superiore della Magistratura incentrata sull’indipendenza del magistrato, libero di giudicare secondo legge e coscienza, citando l’Apologia di Socrate.
Sarebbero potuti restare gli utopici pensieri di un giovane, destinati a scontrarsi con la realtà, per poi infrangersi o piegarsi all’utile compromesso. Ma la vita permise a quel giovane di agire, anche come uomo, sulla scorta di principi che non hanno connotazione politica ma che appartengo, o sarebbe meglio dire dovrebbero appartenere, all’etica di ogni individuo. L’occasione per l’avvocato Giorgio Ambrosoli di mostrarsi coerente ai propri principi e di portarli avanti con coraggio “per fare qualcosa per il paese” arrivò quando la sua strada  professionale incrociò quella di un altro avvocato Michele Sindona.
Un professionista, quest’ultimo, con il “bernoccolo degli affari” (2), spregiudicato quanto bastava per sviluppare contatti non solo con il mondo della finanza italiana e americana, ma anche con quello politico ed ecclesiastico. Una fitta rete di collusioni, grazie alla quale creò un impero finanziario basato su un cinismo di progetti che, come ricorda il figlio di Ambrosoli, “riporta alla mente la massima gattopardesca: bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’era”. Quando questo impero iniziò a sgretolarsi ed entrò in scena “l’eroe borghese” (3) che, come liquidatore, si dedicò “a un esame spietato dei bilanci della Banca Privata Italiana, la vicenda umana e professionale di Sindona traslocò dall’ambito economico a quello criminale”.
Più di una volta è stato scritto che un’omissione avrebbe salvato la vita a Giorgio Ambrosoli ma lui, pur consapevole dei rischi che correva aveva tirato dritto per la sua strada con quel rigore e quell’integrità che serbava anche nella vita privata, quando evitava accuratamente incontri, fuori dal lavoro, che avrebbero creato imbarazzi o conflitti d’interessi. Come liquidatore di una banca si sarebbe potuto limitare a riportare al magistrato quanto si evinceva in modo diretto ed evidente dai documenti studiati, lui invece aveva deciso, con grande scrupolo e un enorme lavoro di ricostruzione, di indagare aprendo “i recessi più segreti del labirinto, diventando il principale accusatore di Sindona anche sul piano penale” (4). Nonostante per Ambrosoli la liquidazione di una banca prescindesse dalla persona e nonostante ritenesse che, in giro, di personaggi come il banchiere di Patti ve ne fossero parecchi. Individuava, infatti, l’errore in un sistema che permetteva la costruzione di imperi finanziari basati non sulla produzione bensì sulla speculazione. Un sistema protetto dal silenzio che difficilmente si poteva e si può ancora oggi afferrare, che lascia frustrati e impotenti spettatori, che lascia, usando le parole del Procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, con “il sapore amaro per non aver potuto comprendere appieno i meccanismi sottili e sofisticati dell’universo politico che attraversa la vita di ogni giorno e che ogni giorno può radicalmente cambiare la vita di un paese”.
L’avvocato Ambrosoli, protagonista di una brutta pagina di storia italiana che aveva cercato di contrastare con i suoi valori di libertà, onestà e responsabilità, era, inoltre, un padre e un marito affettuoso che non dimenticava di annotare nella sua agenda, accanto ai pressanti impegni lavorativi, l’appuntamento per esaminare il regolamento del consiglio d’asilo del figlio Umberto o il suo testamento spirituale indirizzato alla moglie, nel quale la esortava “qualunque cosa succeda” ad allevare i ragazzi crescendoli nel rispetto di quei valori nei quali loro avevano creduto.
Giorgio Ambrosoli fu assassinato la notte dell’undici luglio 1979 e fu solo, abbandonato dallo Stato che aveva servito con scrupolo e dedizione, anche ai funerali, ai quali partecipò, unico o quasi fra le Alte Autorità, Paolo Baffi governatore della Banca d’Italia coinvolto, qualche mese prima, in un altro capitolo oscuro della storia italiana (5).
Per meglio comprendere la complessa situazione nella quale si era ritrovato a operare l’avvocato Ambrosoli è, infine, necessario inquadrare il finanziere Sindona nell’ambito delle intricate vicende che hanno coinvolto un altro Stato a noi vicino: la Città del Vaticano con il suo Istituto per le Opere di Religione (IOR), balzata alle cronache in questi giorni per la crisi che colpirebbe (il condizionale è d’obbligo) anche le finanze della Santa Sede e per il cambio ai vertici della banca del Papa (6). Tutto ebbe inizio con la morte di Giovanni XXIII, il Papa buono, che fece crollare le offerte dei fedeli da 19 a 5 miliardi di lire e con la sofferta decisione del Governo italiano di tassare i dividendi della Santa Sede. Al fine di scongiurare una crisi finanziaria senza precedenti Paolo VI affidò al sacerdote Paul Marcinkus e al laico Michele Sindona il trasferimento all’estero delle partecipazioni, creando in questo modo la fitta ragnatela fra America, Italia, Vaticano, politica italiana e mafia. Il 6 agosto 1978 il Papa morì e fu eletto Giovanni Paolo I uomo rigoroso e all’apparenza semplice,  il quale decise di far pulizia allo IOR: morì all’improvviso il 29 settembre 1978 ufficialmente per arresto cardiaco. Giovanni Paolo II, il suo successore, recupererà la politica di Paolo VI lasciando tutti al proprio posto (7) …
L’omicidio di Ambrosoli si inserì in una catena di delitti contro persone che stavano svolgendo con scrupolo e coscienza il lavoro loro affidato, “piccole cose all’interno di un sistema squassato sul piano economico e politico” per usare le parole del giornalista Giovanni Bianconi. Un sistema che contemplava (e probabilmente tutt’oggi contempla), all’interno delle istituzioni, uomini che cercavano di ostacolare lo Stato, ostacolando chi, come Ambrosoli, era stato chiamato dallo Stato stesso a mettere a posto i problemi, come evidenziato ne “Il divo”, film dedicato alla vita e alle opere di Giulio Andreotti o nel film “Un eroe borghese” di Pietro Valsecchi. In quest’ultimo è illuminante la domanda che la segretaria personale di Sindona rivolge sprezzante al protagonista, neo liquidatore della Banca Privata Italiana: “Lei si illude di poter cambiare un sistema che è diventato la struttura stessa del nostro Paese? Dove la mafia è l’unico datore di lavoro?”. Ma Ambrosoli riteneva che la vera struttura del Paese fosse quella che si costruisce con il proprio onesto lavoro. “E’ una bella frase, ma niente più” conclude la donna, citando Stendhal secondo il quale l’onestà sarebbe la virtù della gente da poco.
Il figlio di Ambrosoli, con il suo libro, desidera mostrare come si può essere buoni cittadini mettendo al servizio dello Stato il proprio sapere, è un esempio quello di suo padre di cui l’Italia ancora oggi ha bisogno, per indirizzare il Paese verso un percorso evolutivo. Nonostante l’esperienza insegni che vince quasi sempre chi non segue le regole e non sta ai patti…quasi sempre: lasciamo una porta aperta alla speranza.

(1) “Qualunque cosa succeda” di Umberto Ambrosoli, ed. Sironi (2009);
(2) “L’italia degli anni di piombo” di Indro Montanelli e Mario Cervi, ed. Bur (2001);
(3) “Un eroe borghese – il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica” di Corrado Stajano, ed. Einaudi (1991);
(4) Gianpaolo Pansa da “La Repubblica” 4 ottobre 1983;
(5) “L’Italia degli anni di fango” di Indro Montanelli e Mario Cervi, ed. Bur (1995);
(6) Giacomo Galeazzi da “La Stampa” 5 luglio 2009;
(7) “Vaticano S.p.A.” di Gianluigi Nuzzi, ed. Chiarelettere (2009).

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