Preludi, fughe e qualche porto

Ci siamo impegnati di recente sulle nuove sfide etiche, su oltrepassabili o meno confini della conoscenza, su come e dove individuare il potere. Quest’anno rivolgeremo l’attenzione alla fenomenologia della Fuga. Si tratta di una tematica dovutamente ampia che ancora una volta gli Ulissidi affideranno nei suoi vari aspetti a provati competenti, certi che ne sapranno articolare aspetti inconsueti e produttivi per una crescita di consapevolezza in tempi di penuria. Al Socio Onorario del Circolo degli Inquieti Valerio Meattini abbiamo chiesto di anticiparci qualche aspetto del tema conduttore della prossima edizione della Festa dell’Inquietudine.

di Valerio Meattini

Fuga si dice in molti modi
La fuga di Ettore davanti ad Achille, il ritorno del coraggio e la morte che consegnò il vinto e la sua città ad imperitura gloria “finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”. La fuga in Egitto che pose in salvo chi, nei secoli venturi, sarebbe stato il Salvatore per molti. Il punto di fuga della prospettiva in pittura; la fuga, ancora una volta prospettica, di ben pensate architetture. Fuggire dalla guerra, dalla persecuzione, dalla povertà. La fuga dalla civiltà verso i paradisi dei mari del Sud, la fuga dalle proprie responsabilità verso paradisi senza collocazione precisa (quasi un’illusoria fuga di specchi!), la fuga da una condizione di minorità per la piena assunzione dei propri compiti e del proprio ruolo nella vita (che Kant pensò quale culmine dell’Illuminismo)… L’intera fenomenologia dell’esistenza umana può essere passata al vaglio di questa lente. Ed è un esercizio su cui tutti, per esperienza diretta, possiamo dire qualcosa.

Platone: rifugiarsi nei discorsi migliori…
Ma, c’è una dimensione senz’altro sorprendente della “fuga” che ha caratterizzato l’intera storia dell’Occidente, e costituisce il dato battesimale della sua peculiare dimensione culturale filosofico-scientifica, ed è la platonica “fuga nei logoi”, ovverosia nei ragionamenti che di volta in volta appaiono migliori. Socrate, nel Fedone, la descrive come una fuga dalla molteplicità e confusione dei dati sensibili, e altrove dalle opinioni fallaci, dai pregiudizi e dal semplice credere a qualcosa senza approfondito esame. In termini efficacemente sintetici questa particolare fuga, che è la dialettica, è “il chiedere e il dar ragione di quel che si dice”.

… e l’eccellenza di Eros
In un altro dialogo di Platone, del pari famoso, Teeteto, ritorna il tema della fuga e questa volta riguarda non solo la conoscenza, ma anche la dimensione morale dell’uomo: giustizia e sapienza esigono una fuga dalla nostra natura mortale che è incline ai loro opposti (sopraffazione e credulità) e un indiamento, che è dire: fuggire il prima possibile e il più lontano possibile dal male che ci attrae e viaggiare verso quelle dimensioni del “divino” che compiono la vita umana e la qualificano, appunto, come davvero umana. In questi due luoghi, giustamente celebri, Platone ci ha consegnato la grammatica fondamentale dell’essere uomo: l’uomo non è un dato, ma un compito, deve realizzarsi con una seconda nascita, con una “seconda navigazione” che è ardua e faticosa e non può valersi del vento in poppa delle opinioni diffuse, ma della forza del braccio e della resistenza del remo. Tutta l’opera di Platone attesta questo tema: farsi uomo, sottraendosi al facile convincimento dei più e al seducente richiamo dell’egoismo. Nessun pensatore ha tanto insistito sul tema della fuga come atto fisico e mentale da cui comincia un cammino che deve compiersi nella realizzazione massima delle potenziali facoltà di ognuno nella vita individuale e – non lo si dimentichi, perché per Platone è essenziale – nell’agone pubblico. Si provi a pensare in questa prospettiva la sua teoria dell’amore: Eros toglie l’uomo dalla sua quotidianità e lo consegna a quell’anelito divino che spinge a corrispondere reciprocamente alle più nobili aspettative dell’altro, dimodoché i veri amanti attingono entrambi ad un più alto timbro di vita. E si pensi al mito della caverna: un viaggio, nient’altro che un viaggio liberatore per abbandonare le catene del pregiudizio e restituirsi alla potenzialità della conoscenza, rendendosi al contempo adatti all’esercizio della vita politica. Quanto Platone tenesse a giustizia e sapienza ce lo dice ancora il Teeteto: citando Omero, definisce “inutile peso per la terra” gli ingiusti, gli empi e coloro che fingono abilità che non hanno.

“Fuga dal trito e popolar sentiero degli studiosi”
Anche la scienza moderna, nel suo atto più originario ed eversivo, fu una fuga dal dogma della centralità della Terra e un proiettare lo sguardo sul più vasto mondo, un sottrarsi alla malia e alla falsa evidenza dei fenomeni per cogliere in essi, oltre essi, ciò che li regge e li collega: la legalità della natura. Che dice di sé Galileo, vecchio, stanco, condannato? Scrive al cardinale Francesco Barberini (nipote del papa) che la sua vita era stata ricerca, “studi e fatiche di tanti anni” per distogliersi dal “trito e popolar sentiero degli studiosi”. Quell’atto che più volte si è ripetuto nella storia della scienza con l’opposizione di autorità a volte religiose, a volte laiche, è l’elemento dinamico che i novatori apportano al nostro patrimonio comune e appunto una fuga verso “ragioni migliori”.

Nomadi e stanziali
Che alle fughe ci si opponga in nome della stabilità e il nomade abbia il suo alter ego nello stanziale non è cosa strana perché nella fuga che, da Platone in poi, caratterizza le conquiste o le grandi svolte della cultura è presente il rischio e l’azzardo (“Bello è il pericolo”, sottolinea a tal proposito proprio Platone) e perché non è possibile una vita che non sia rassicurata anche da relativi punti fermi. Pubblica e/o privata, la vita umana deve contemperare gli slanci dinamici con gli ancoraggi della stabilità altrimenti non ci sarebbe societas. Pensare questo conflitto tra ‘strappo’ e ‘tessuto’, tra mercurialità e stabilità (magari su illusorie basi) è, credo, fondamentale per capire un po’ di più le nostre vite umane sparse sotto ogni cielo e per far sì che i tessuti sociali siano, infine, di miglior qualità e consistenza.

Serrate fughe, sconfinate vastità
La Fuga in musica ci offre un’efficace metafora conclusiva. “Bach non è solo l’artefice di fughe potentemente serrate, lo è anche di preludi fantasticamente sconfinati”, “tensione e distensione, ondeggiante vita e profondissima quiete […] uniti in modo unico e incomparabile.” Qui, nella Fuga, continua Furtwangler in Suono e parola, “la concentrazione dell’istante è legata a una inaudita vastità […] con un dominio dell’insieme veramente sovrano.” Legare, dunque, lo slancio della nostra vita ad un’esercitata capacità di fronteggiare le faccende quotidiane mi pare un programma degno di inquieti assennati.

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