Quando la fine del mondo non arriva

di Massimo Polidoro

Il mondo finirà nel 2012? Probabilmente no, ma non è una novità. In passato, la fine del mondo è stata prevista centinaia di volte e, come è facile constatare, non è mai successo.

Come è possibile allora che questi continui fallimenti riducano allo sbando i credenti delle tante sette e congreghe responsabili di tali profezie? In realtà, si è scoperto che non solo i fallimenti non scoraggiano gli adepti ma, addirittura, li possono rafforzare nelle loro convinzioni.

Diversi anni fa, tre psicologi dell’Università del Minnesota, Leon Festinger, Henry Riecken e Stanley Schachter, si sono infiltrati nella setta millenaristica di Marian Keech e, grazie al loro lavoro, ci è oggi possibile capire cosa succede in un gruppo come questo prima e dopo la data prevista per la fine del mondo.

La setta, localizzata a Chicago, aveva circa una trentina di adepti ed era guidata da una coppia, cui i ricercatori diedero i nomi fittizi di Thomas Armstrong e Marian Keech. Quest’ultima, una casalinga, era la vera leader del movimento, in quanto diceva di essere in contatto con i “Guardiani”, entità spirituali extraterrestri, che comunicavano con lei attraverso la “scrittura automatica”.

Un giorno i Guardiani cominciarono a predire una grande catastrofe, un diluvio che avrebbe sommerso il mondo intero. Gli adepti, allarmati, furono rassicurati quando fu spiegato loro che chi credeva nelle “Lezioni” impartite attraverso la Keech sarebbe stato salvato a bordo di dischi volanti. Come sarebbe avvenuto il salvataggio non era chiaro, ma era importante che prima di salire a bordo tutti si togliessero le parti metalliche dai vestiti che avrebbero reso pericolosa la navigazione.

Festinger e soci osservarono due comportamenti insoliti negli adepti: prima fecero scelte definitive quali l’abbandono della famiglia, del lavoro e la cessione di tutti i propri beni. Poi, fatto curioso, non cercarono assolutamente di fare proseliti e, anzi, evitarono in ogni modo la pubblicità. Man mano che la data si avvicinava, infatti, i giornalisti cercavano in tutti i modi di prendere contatto con i leader o i componenti della setta ma venivano costantemente respinti.

Quando arrivò il giorno dell’atterraggio degli UFO, tutti gli adepti si adeguarono agli ordini ricevuti dall’alto: pronunciarono in continuazione le parole d’ordine (“Ho lasciato il cappello a casa”; “Qual è la tua domanda?”; “Tutti i beni li porto con me”) e si vestirono di abiti disfatti, sostenuti da cordicelle e spago.

A 25 minuti dalla mezzanotte esplose il panico: uno dei ricercatori annunciò che si era dimenticato di togliere la zip dai pantaloni. Nel suo resoconto, Festinger ricorda che il loro amico: «Fu spinto in camera da letto, dove il Dr. Armstrong, con le mani tremanti e mandando continue occhiate febbrili alle lancette della sveglia, tagliò via la lampo con due rasoiate e strappò i gancetti con un paio di cesoie».

A pochi minuti dalla mezzanotte il silenzio era totale, quando suonarono le dodici la tensione era al culmine ma, man mano che il tempo passava e non succedeva niente, lo sbigottimento lasciava il posto alla disperazione. All’alba la Keech scoppiò in lacrime e disse che sebbene qualcuno poteva cominciare a dubitare, il gruppo doveva restare unito e «irraggiare la sua luce a quelli che più ne avevano bisogno».

Improvvisamente, alle cinque meno un quarto, la mano della signora Keech cominciò a scrivere un messaggio dai Guardiani, in cui si diceva che il gruppetto aveva irraggiato così tanta luce «che Dio aveva salvato il mondo dalla distruzione». La spiegazione non bastò, perché dopo averla sentita uno degli adepti si alzò, si mise il cappotto e se ne andò. Ci voleva altro. Ecco come i ricercatori raccontano ciò che successe dopo: «L’atmosfera nel gruppo cambiò bruscamente e così il suo comportamento. Pochi minuti dopo avere letto il messaggio che spiegava la mancata catastrofe, la signora  Keech ne ricevette un altro che le ordinava di pubblicizzare quella spiegazione. Andò al telefono e cominciò a formare il numero di un giornale. Mentre aspettava la comunicazione, qualcuno le chiese: “Marian, è la prima volta che chiami tu il giornale?” La risposta fu immediata: “Oh, sì, è la prima volta che li chiamo. Non ho mai avuto niente da dirgli prima, ma ora sento che è urgente”. L’intero gruppo poteva farle eco, perché tutti ormai avvertivano un’urgenza. Non appena ebbe finito la sua telefonata, gli altri si misero a turno a chiamare giornali, telegrafo e stazioni radio per diffondere la spiegazione del mancato diluvio. Nel desiderio di diffondere il verbo rapidamente con risonanza, svelavano cose che finora erano state segretissime. Mentre poche ore prima avevano evitato i cronisti e provato fastidio per l’attenzione della stampa, ora cercavano avidamente la pubblicità».

Come si spiega questo voltafaccia improvviso? Da setta chiusa ed esclusiva passarono alla massima apertura e diffusione del verbo. E perché mai scelsero un momento così sfavorevole per fare proselitismo?

Secondo Festinger non era stata la precedente certezza a indurli al proselitismo ma la sopravvenuta incertezza: se la profezia dell’apocalisse e dell’astronave erano sbagliate, probabilmente lo era tutto il sistema di credenze che stava alla base della setta. A questo punto, non ci si poteva certo permettere di ammettere l’errore, dopo le decisioni radicali che erano state prese poche ore prima: vergogna, ridicolo e costi economici sarebbero stati insopportabili.

Visto che l’unica prova che avrebbe dimostrato la validità del loro credo, la fine del mondo e l’arrivo dei Guardiani, era fallita c’era immediato bisogno di un altro tipo di riprova alla validità delle loro credenze. È quella che in psicologia si chiama “riprova sociale”. Significa che quanto maggiore è il numero di persone che trova giusta una qualunque idea, tanto più giusta appare quell’idea. Così si spiega l’improvvisa trasformazione della setta millenaristica e la curiosa scelta del momento in cui fare proseliti: bisognava rischiare il ridicolo perché solo se avessero trovato nuovi adepti ci sarebbe stata qualche speranza di salvezza. In altre parole, se riuscivano a convincere gli scettici e a diffondere il verbo, le loro credenze minacciate ma insostituibili sarebbero diventate più vere: convincere gli altri, insomma, per convincere sé stessi.

Dibattiti&Incontri:                                                                                                                                                                                                “Ipotesi sulla fine del mondo” sabato28 maggio 2011, ore 14.45, Primo Chiostro

Menu